~18: Non lasciarmi adesso

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Non avrei mai pensato che una chiamata, una semplice chiamata, potesse ridurmi in questo stato. Nathan è lì fermo davanti a me, vedo che sta muovendo le labbra, ma alle mie orecchie non arriva nessun suono, nulla. È come se quella chiamata avesse portato via con sé tutte le mie capacità mentali, è come se quella chiamata mi avesse risucchiato l'esistenza.

Non posso credere che mia madre si trovi in un letto d'ospedale lottando tra la vita e la morte, per colpa mia. È tutta colpa mia. Un'unica frase riecheggia nella mia mente, non ascolto altro, è tutta colpa mia. Se non mi fossi confidata, se non avessi fatto quella chiamata. Se, se, se, soltanto se, ma cosa me ne faccio di tutti questi se? Meccanicamente porto le mie mani tra i capelli, tiro le radici, come se provando quel lieve dolore potessi in qualche modo cancellare tutto questo, eppure mai avrei immaginato uno scenario simile. È mai possibile che da un anno a questa parte non sia cambiata per nulla? Possibile che continuo ad affidarmi ancora così tanto alle persone e le ferisco?

«Rachel, che succede?» la voce di Nathan mi arriva ovattata, prende un mio braccio con la sua mano, ma continuo a non sentire, a non vedere, a non pensare lucidamente. È tutta colpa mia.
«È tutta colpa mia» sussurro, ma ancora non ho il controllo del mio corpo. Vorrei urlare, piangere, muovermi, ma non ci riesco. Mi sento bloccata nel mio stesso corpo.
«Cosa Rachel?» domanda Nathan scuotendomi le spalle. E forse ci riesce per un breve periodo di tempo riesco a tornare me stessa, a prendere il controllo del mio corpo.

Vedo chiaramente Nathan davanti a me, le pupille allargate, lo sguardo preoccupato, i suoi capelli ricadono sulla fronte, ma non ci fa caso, sembra davvero molto preoccupato per me. Deglutisce e cerca ancora una volta di farmi parlare.

«Rachel parlami ti prego, chi era al telefono? Come mai ti ritrovi in questo stato? Mi stai facendo preoccupare»
«Mia madre» sussurro ancora una volta, mi fa male la gola, ma non ho fatto il minimo sforzo, mi sembra tutto così assurdo, così lontano dalla mia vita «Mia madre ha avuto un incidente mentre stava venendo qua, per portarmi via da questa casa, lo avevo chiesto io, l'avevo chiamata, l'ho supplicata di portarmi via da te. Lei lo stava facendo, stava venendo qui, ed è solo colpa mia se adesso si trova in ospedale. È in gravi condizioni, probabilmente non ce la farà. Ed è solo colpa mia» affermo atona. Non provo niente se non repulsione nei miei confronti. Non provo assolutamente niente, quella chiamata ha portato via anche le mie emozioni, mi ha prosciugata.

Nathan si allontana di poco da me, ma dopo poco si avvicina di nuovo e circonda le sue braccia sul mio corpo. È la prima volta che lo fa, è la prima volta che mi abbraccia, e avrei tanti voluto che non lo facesse. Perché tra le sue braccia sento un calore mai provato, e tutte le emozioni vengono fuori, appoggio la testa sul suo petto e inspiro il suo profumo. Lo abbraccio anche io mentre delle lacrime calde scendono sul mio viso. Lo stringo forte a me come se la mia vita dipendesse da questo, da me e da lui. Nathan non mi fa domande, non cerca di allontanarsi da me, con il suo corpo vicino al mio, mi trasmette tutta la sua forza, tutto ciò che non riusciamo a dirci. Non si arrabbia per ciò che ho appena detto, che stavo andando via da lui, una volta per tutte, eppure quei pensieri, quelle azioni, sembrano così lontani, come se fossero accadute anni fa.

«Rachel che ne dici di andare all'ospedale, per sapere cosa diranno i dottori, per vedere se ci saranno dei miglioramenti. Magari vorresti starle accanto» afferma dopo qualche minuto. Alzo la testa verso di lui e annuisco. Sì, devo vedere mia madre.
«Per favore non lasciarmi adesso, non voglio stare da sola, non lo sopporterei» mi stringo ancora una volta a lui.
«Non lo farò» sussurra asciugandomi le lacrime.
«Allora andiamo» affermo allontanandomi da lui.

Insieme usciamo di casa, chiudo la porta a chiave e ci incamminiamo nel vialetto. Fa freddo questa notte, ma non mi importa, voglio solo vedere mia madre. Nathan si allontana andando a prendere la macchina nel garage, lasciandomi per un breve momento sola. Alzo il viso al cielo come per chiedere un po' di forza. Ma anche il cielo sembra soffrire con me, non c'è neanche una stella, solo la luna ad illuminare questa notte oscura. L'autunno ha portato via anche le stelle questa sera.
Abbasso lo sguardo e trovo Nathan difronte a me. Salgo in macchina e allaccio la cintura di sicurezza. Tutto il viaggio fino all'ospedale è silenzioso, non abbiamo acceso neanche la radio. È la prima volta, dopo il matrimonio, che sono in macchina con Nathan, e mi faccio schifo a pensare una cosa del genere, non dovrei pensare questo mentre mia madre potrebbe morire. La strada fortunatamente non è molto trafficata, anche perché a quest'ora sarebbe molto improbabile trovare traffico.

Quando arriviamo in ospedale, subito dopo aver parcheggiato mi catapulto fuori dalla macchina, non aspetto neanche Nathan, corro dentro l'ospedale e mi avvicino subito alla reception.

«Scusi, saprebbe dirmi dove si trova la signora Hanna Smith? Sono sua figlia, ha avuto un incidente e l'hanno portata qui. Non so esattamente a che ora» domando, la signora controlla sul computer. Vorrei urlare di sbrigarsi, che non posso perdere tempo, che vorrei stare accanto mia madre il prima possibile, mentre lei invece sta ancora cercando sul maledettissimo computer. Per sua fortuna non ho il tempo di dirle tutto questo perché Nathan si avvicina a me. Però la maledico mentalmente, se lo merita.

«Allora?» domando nervosa. La signora sbuffa. Se sta cercando uno schiaffo è proprio quello che sta per ricevere.
«Terzo piano, quarta stanza sulla sinistra» afferma svogliata. Sento la vena del collo pulsare e sto per rispondere male, ma Nathan mi precede.
«Grazie mille, buon lavoro» mi porta lontano da quella vipera. Ci avviciniamo all'ascensore che per fortuna non è occupato.
«Ma chi si credeva di essere, mia madre potrebbe morire e quella perde tempo. E tu» lo indico «Se non fosse stato per te si ritroverebbe un segno rosso sulla sua brutta faccia»
«Non prendertela con me» afferma alzando le mani. Mi appoggio alla parete dell'ascensore aspettando che ci porti al terzo piano, faccio uscire l'aria dai polmoni, come se l'avessi trattenuta per tutto questo tempo. Dopo poco le ante si aprono e appena metto un piede fuori l'ascensore si forma un nodo in gola. Prendo la mano di Nathan e la stringo forte, ho bisogno che mi stia vicino adesso. Fuori la stanza dove si trova mia madre ci sono Kimberlee e mio padre. Appena Kimberlee mi vede si scaglia contro di me.

«Con quale faccia tosta ti fai trovare qui?» domanda piangendo, non l'avevo mai vista piangere così. «Ti rendi conto che è colpa tua? Perché non riesci mai a risolvere i tuoi problemi da sola? Perché ogni volta devi sempre scappare? Se la mamma si trova qui è per colpa tua, e ti presenti qui come se niente fosse» mi urla in faccia. Io non le rispondo perché ha ragione, ha ragione su tutto. «Non potrò mai perdonarti se dovesse succederle qualcosa, sappilo, Rachel. Io non ti perdonerò mai. Perché non rispondi? Perché non dici niente? È sempre così con te, non rispondi, fai finta di nulla. Mi fai schifo. Parla ho detto» le sue parole mi graffiano l'anima ma non reagisco. Mi colpisce il petto molte volte, ma la lascio stare. «Devi rispondere Rachel» mi dà uno schiaffo in faccia. Ma io non rispondo, non reagisco. Guardo mio padre seduto sulla sedia, ma non mi degna di uno sguardo. Kimberlee sta per colpirmi ancora ma Nathan mi si para davanti.

«Adesso basta» afferma «Rachel vieni, andiamo a cercare un dottore» mi trascina via da mia sorella, ma non dico nulla.
«Perché non hai reagito? Ne avevi tutto il diritto Rachel» afferma voltandosi di scatto.
«Non l'ho fatto perché ha ragione. È solo colpa mia. Per loro non sono più nessuno, non sono mai stata nessuno forse. Aveva il bisogno di sfogarsi e si è sfogata con me, e ha fatto bene, dopotutto tutto questo non sarebbe mai accaduto se me ne fossi stata zitta» entriamo in un bagno.
«Ti ha fatto male?» domanda.
«No. Fa più male quello che provo qui» affermo indicando il cuore «e qui» indico la testa.

Nathan non mi fa più domande, si limita a tenermi per mano, a guardarmi negli occhi che ancora una volta si riempiono di lacrime.

«Perché non posso essere felice?»
«Sh» sussurra accarezzandomi i capelli.
«Vorrei non essere mai nata. Tu saresti felice, la mia famiglia sarebbe felice. Nessuno sentirebbe la mia mancanza, e soprattutto mia madre non sarebbe in ospedale»
«Questo non è vero, che ne dici di Sasha?»
«Forse mancherei solo a lei»

Sono convinta di quello che dico. Potrei giurarci quando dico che mancherei soltanto a Sasha, forse anche a Ryan, non lo so, in questo momento non voglio pensarci.

«Vuoi tornare di là?» chiede mio marito.
«Si, voglio sapere come sta» tiro su col naso e mi asciugo le lacrime. Usciamo dal bagno e lentamente ci avviciniamo alla stanza di mia madre. Un dottore sta parlando con mio padre. Riesco a sentire le sue parole anche se non stiamo vicini.

«La signora Smith è venuta qui in gravi condizioni, abbiamo fatto tutto il possibile, ma non è stato abbastanza. La signora è venuta a mancare, mi dispiace molto ma non abbiamo potuto fare altro» questa frase, questa semplice frase ha distrutto il mio mondo. Cerco sostegno tra le braccia di Nathan, la sua maglietta ormai è umida a causa di tutte le mie lacrime, quelle che avevo versato e quelle che ora sto versando. Lui mi stringe a sé cercando di darmi il maggior sostegno possibile. Kimberlee cade a terra piangendo, mentre mio padre continua a parlare con il dottore, ma non dà nessun segno di debolezza. Mia madre è morta, ed è tutta colpa mia. 

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