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Londra
Settembre 2015

Si era svegliata presto quella mattina, aveva appuntamento con Albert Chapman, il direttore della Guildhall Art Gallery di Londra.
Aveva urgente bisogno di parlarle, così aveva registrato nel messaggio della segreteria telefonica.
Solitamente preferiva parlare di persona al telefono ma essendo impegnata in una valutazione, per non perdere altri impieghi lavorativi era dovuta ricorrere alla segreteria per gli impegni più importanti.
Finì il suo thè e posò la tazza di fine porcellana nel lavello.
Adorava le cose belle e sofisticate.
Non era per dispetto al padre che la voleva avvocato, che aveva scelto di fare l'accademia d'arte al Chelsea College di Londra.
Era sempre stata appassionata di arte e di tutto ciò che era bello.
Un po' colpa anche di sua nonna, la madre di suo padre, che la portava sempre con sé a visitare gallerie, eventi, e esposizioni.
Si guardò nell'enorme specchio che occupava tutta la parete dietro al lavabo.
Fino a quindici anni era stata ipercritica, odiava i colori, odiava i fronzoli e le frivolezze e odiava specchiarsi.
L'acne l'aveva perseguita per anni e tutti i medici dermatologi che l'avevano vista erano arrivati a una sola conclusione.
Mangiava troppi cibi saturi di grassi.
In realtà forse era stato più che altro un problema legato alla genetica familiare che non al cibo, dato che sua madre era fissata con il cibo biologico.
L'avevano imbottita di farmaci, creme, saponi detergenti che per anni avrebbe potuto anche venderli.
Dopo aveva iniziato a capire che la prima a dover amare la sua persona era lei stessa, così aveva cambiato radicalmente atteggiamento.
Ora non odiava più lo specchio, aveva cambiato idea nei confronti dei colori e aveva smussato un bel po' il carattere da musona emo che adottava da ragazzina.
"Muoviti Vivianne, ok che Chapman ha accolto con gioia la tua risposta ma questo non ti obbliga ad arrivare in ritardo."
Sciolse la crocchia di capelli e si infilò nella doccia, l'acqua bollente le sciolse i muscoli intorpiditi dal sonno.
Quando uscì si tamponò i capelli con un telo e andò in camera a vestirsi.
Optò per qualcosa di semplice e molto comodo, un pantalone dritto nero e una camicia rosa.
Tornò in bagno per asciugare i lunghi capelli castano dorato e decise che poteva lasciarli sciolti.
Dopo mezz'ora esatta uscì dal suo appartamento, e chiamò l'ascensore.
Abitare a Londra aveva i suoi pro e i suoi contro.
I pro erano che non aveva dovuto abbandonare tutte le sue certezze, le sue amicizie e le sue abitudini.
I contro erano che, Londra restava sempre grigia, pioveva spesso, c'era molto smog e tutti i parenti da parte di suo padre.
Non era insolito incontrare uno dei suoi innumerevoli cugini almeno una volta al giorno.
Suo padre aveva cinque fratelli e una sorella, tutti loro avevano fatto dai cinque ai sei figli.
Quindi era impossibile non incontrarli e sentirli rinnovare ogni volta, che lei avrebbe dovuto seguire le orme del padre in quanto figlia unica e entrare nella società di avvocati che avevano aperto.
A lei però studiare legge non era mai interessato.
Fermò un taxi al volo e salì dentro.
"Alla Guildhall Art Gallery per favore."

Quando giunsero a destinazione pagò la corsa e scese dal taxi soffermandosi a guardare l'imponente struttura in stile gotico dall'architettura georgiana.
Le piaceva molto con la sua facciata coperta da innumerevoli finestre dalla classica forma ad arco a sesto acuto e le alte guglie.
Gran parte dell'edificio risaliva al millequattrocento quarantuno  ed era l'unico edificio in pietra che non era stato costruito per essere una chiesa. Era inoltre forse uno dei pochi edifici ad aver resistito al grande incendio di Londra del  millesettecento sessantasei.
Diede uno sguardo all'orologio che portava al polso e si riscosse dal ricordo dei libri di università.
Doveva incontrare il direttore e poi recarsi a un pranzo con Kate, quindi si apprestò ad entrare nella galleria.
Appena mise piede nella grande sala con i suoi affreschi e le sue enormi colonne in pietra respirò a pieni polmoni l'aria satura di antichità e perfezione.
Le gallerie e le opere d'arte erano per lei come un piatto di ostriche accompagnato da un bicchiere di champagne per un esperto di gourmet.
"Salve, sono Vivianne Sherman, devo incontrarmi con il signor Chapman."
Si presentò alla ragazza in giacca e camicia che si trovava dietro alla scrivania.
"Si accomodi da questa parte miss Sherman, chiamo subito il direttore."
La accompagnò nella sala adiacente, la grande biblioteca della galleria, che vantava la più vasta collezione di importanti manoscritti.
Passò le mani sul dorso dei libri e sorrise, se non avesse studiato da critico d'arte avrebbe aperto una libreria con sala da thè.
"Carissima signorina Sherman."
Nel sentire il suo nome si voltò a guardare l'uomo davanti a lei che le porgeva la mano.
"Buongiorno."
"Mi permetta di presentarmi, sono Albert Chapman, direttore della Guildhall."
Vivianne strinse la mano all'uomo corpulento con lunghi baffi bianchi e capelli impomatati.
"Molto lieta mister Chapman. Perdoni il mio ritardo."
L'uomo le fece cenno con la mano.
"Non ci badi miss Sherman, se vuole seguirmi nel mio ufficio avrei piacere a esporle una questione di notevole importanza."
Vivianne annuì e seguì l'uomo fuori dalla biblioteca lungo una grande navata fino al suo ufficio.
L'uomo entrò e le mantenne la porta aperta per lasciarla entrare.
"Prego si accomodi."
Vivianne prese posto su una delle poltrone di pelle amaranto di fronte alla scrivania di massiccio rovere.
"Gradisce un thè?"
"No la ringrazio, veniamo al motivo del nostro incontro Mister Chapman, avrei un impegno per pranzo."
"Bene. Mi piacciono le persone che vanno dritte al punto. Quest'anno qui alla galleria abbiamo in lista molti eventi e mostre. Vogliamo portare i più grandi artisti a esporre le loro opere nella nostra galleria, la grande maggioranza ha già dato il suo consenso."
Vivianne era molto attenta e nel seguire il discorso vi aveva trovato un ma nascosto.
"Sono contenta per voi mister Chapman, di sicuro verrò ad ammirare le esposizioni, ma non capisco io per quale motivo sono stata chiamata."
L'uomo aprì un cassetto della scrivania e tirò fuori un fascicolo giallo che posò sul legno lucido e ci incrociò le mani sopra.
Prese un grosso respiro e indossò un paio di occhialini dalla forma tonda.
Vivianne se lo immaginò con un monocolo come i vecchi lord inglesi.
"Miss Sherman, la sua nomea e la sua peculiarità la precedono. Mi sono rivolto a lei perché è tra i più importanti critici, oserei dire al mondo."
Vivianne arrossì suo malgrado.
"Bhe insomma, non nego di essere molto preparata ma c'è gente molto al di sopra di me. A livelli molto più elevati."
Chapman annuì.
"Può anche essere signorina, ma io voglio che sia lei a curare questa esposizione. Tra le tante proposte di esposizione che abbiamo fatto vi è un artista che non vuole saperne di collaborare con noi e con nessuna galleria al mondo. Per questo l'ho chiamata."
Vivianne accavallò le gambe e sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
"Mi perdoni direttore ma non vedo come io potrei esserle utile. Gli artisti sono famosi per la loro avversione verso le esposizioni al pubblico. Molti sono gelosi delle loro opere e non consentono a chicchessia di vederle e toccarle. Altri lavorano solo su commissione e spesso sono così estrosi che il proprietario dell'opera la vede solo quando è finita e che gli piaccia o no se la deve tenere."
Il direttore annuiva a ogni sua parola ma non voleva accontentarsi.
"Lo so signorina lavoro qui da oltre vent'anni e so bene cosa vuole dirmi. Ma io confido nel suo operato e so che riuscirà a convincere questo artista. Lui è un artista che va oltre i trecentosessanta gradi. Ha realizzato opere con qualsiasi tipo di materiale esistente in natura, è estroso, eclettico, poliedrico e anche capriccioso. Lo abbiamo invitato innumerevoli volte ma lui ha sempre rifiutato. Quello che io voglio è che lei prenda in visione questo fascicolo e che riesca a convincere Vasilij Petrov a esporre nella mia galleria."
Vasilij Petrov!
Aveva detto praticamente il nome dell'artista più schivo, egocentrico e refrattario di cui aveva mai sentito parlare.
Vasilij Petrov era colui che ormai aveva snobbato tutte le gallerie al mondo, i suoi colleghi spesso si erano lamentati con lei di non essere riusciti a convincerlo in alcun modo.
Rivolse uno sguardo sbigottito al direttore e scosse la testa.
"Mi spiace direttore ma devo essere onesta con lei. Nel mio lavoro spesso ho a che fare con l'eccentricità degli artisti e da quanto ne so Vasilij Petrov ha la nomea di essere uno degli artisti più eccentrici e testardi al mondo. Molti dei miei colleghi hanno rinunciato e appeso la sconfitta al chiodo. Vasilij Petrov odia che le sue opere vengano guardate da chiunque, pare abiti in un vecchio castello e nessuno è mai riuscito a varcarne la porta. Non credo di poterla aiutare."
Il direttore contrastò la sua opinione.
"Mi permetta di dissentire signorina. Io credo che lei possa essere l'unica a convincere Petrov a esporre qui da noi. Questo è il fascicolo delle informazioni che siamo riusciti a raccogliere su di lui. Prego lo prenda pure in visone e si prenda del tempo per decidere. Siamo solo a fine marzo e noi vorremmo esporre le opere del Petrov da settembre a dicembre. Lei ha tutto il tempo che vuole per riuscire a convincerlo. Ma non mi dica di no adesso."
Vivianne tentò di opporsi ma il direttore bloccò la sua protesta sul nascere.
"La prego signorina guardi prima il fascicolo. La settimana prossima ci rivedremo e mi darà la sua risposta."
Si alzò e le porse la mano, segno che per lui l'incontro era finito.
A Vivianne non restò che prendere il fascicolo e congedarsi.
Fuori dalla galleria mandò un breve messaggio a Kate per dirle che stava per arrivare.
In auto fino al Wiltons sfogliò il fascicolo su Vasilij Petrov e rimase a dir poco estasiata da alcune opere che un giovane giornalista era riuscito a fotografare di sfuggita.
Le foto risultavano sgranate e sfocate ma le opere in se restavano qualcosa di inaspettato per un occhio critico come il suo.
Doveva cercare di contattare Vasilij Petrov, se non fosse riuscita a convincerlo ad esporre avrebbe almeno ammirato le sue opere da vicino.
Prese il cellulare dalla borsa e cercò su internet.
"Signorina siamo arrivati."
Non si era resa conto che l'autista si era fermato.
"Oh mi scusi. Ecco a lei, tenga il resto e grazie."
Rimise portafoglio e telefono in borsa, recuperò il fascicolo e scese dall'auto.
Quando entrò nel locale un cameriere le si presentò davanti celere e ospitale come il luogo richiedeva.
"Buongiorno madame, desidera un tavolo?"
Vivianne sorrise.
"Buongiorno, sono ospite della signorina Kate Mosse. C'è un tavolo prenotato a suo nome."
Il cognome di Kate da sempre spalancava le porte ovunque, solo per un errore di pronuncia.
"Oh, ma quale onore ricevere una persona di tale livello. Se la signorina ha voluto farci onore della sua presenza noi ne siamo più che lieti. Prego da questa parte, si accomodi intanto che io vado a controllare quale tavolo hanno riservato alla signorina Moss."
"No veramente la signorina non è...."
Ma stava parlando al vento, il cameriere si era già dileguato.
Vivianne gettò un occhiata all'orologio e si augurò che Kate non fosse in ritardo come al solito.
Il cameriere ritornò con un uomo ben vestito, con un sorriso da trentadue denti e l'assurda convinzione di stare per ospitare una modella.
Vivianne alzò gli occhi al cielo, era sempre la stessa storia.
"Signorina mi permetta di presentarmi, sono Oscar Whinston e sono il direttore del Wiltons, la signorina Moss non è ancora arrivata?"
"Ehm no..."
Vivianne si schiarì la gola, era giusto che chiarisse la situazione.
"Signor Whinston ci deve essere un equivoco. La signorina Mosse non è chi voi credete, ma..."
Il direttore la interruppe alzando una mano.
"Sciocchezze signorina. Mi segua prego, appena la signorina Moss arriverà la porteremo da lei. Questo è in assoluto il nostro tavolo migliore, prego se si vuole accomodare."
A Vivianne non restò che accettare con mesta riluttanza e mettersi a sedere sulla sedia che il direttore teneva scostata per lei.
Le portarono un calice di vino bianco e due menù.
"Che strazio Kate!"
Sbuffò scocciata e bevve un sorso di vino.
Dopo un paio di minuti nel locale ci fu il solito trambusto che accompagnava da anni l'arrivo di Kate.
"Ohhh che scocciatura, finalmente mi sono liberata da quegli oppressori! Ciao Vivì."
Il cameriere celere e sorridente di prima le raggiunse con un cipiglio poco elegante che dimostrava sdegno nei loro confronti.
"Prego, se le signore vogliono ordinare."
Vivianne prese del roast beef con patate per contorno, mentre Kate ordinò un rombo scozzese con salsa di champagne accompagnato da insalata.
"Che palle. Sono stanca credimi, quella Moss avrebbe dovuto tenersi lontana dalle passerelle e lasciarmi vivere in pace!"
Vivianne scosse la testa.
"La prossima volta prenoto io, almeno non incappiamo tutte le volte nello stesso trattamento."
Kate buttò giù in un solo sorso il suo bicchiere di vino bianco e fece una smorfia.
"Certo miss Sherman, perché il suo nome non è altrettanto conosciuto vero?"
Vivianne sbuffò.
Effettivamente tanto il cognome di Kate quanto il suo erano entrambi molto conosciuti.
Quello di Kate per la modella super pagata, il suo invece prima per tutta la sfilza di avvocati della Sherman Legal agency e poi perché lei era diventata la critica d'arte tra le più pagate al mondo.
"Lasciamo perdere i dettagli irrilevanti devo aggiornarti su una questione davvero urgente."
Kate abbozzò un sorriso.
"Esponga pure avvocato Sherman. Non hai mai praticato ma potresti farlo benissimo se un giorno ti dovesse stancare tutto quell'ammasso di marmo e polvere!"
Vivianne scoppiò a ridere e scosse la testa.
Con Kate le giornate erano sempre allegre e piene di vita.

Nel riflesso del vampiroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora