Capitolo 30

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Erano già passati quasi due giorni, inizialmente avevo avuto la sensazione che il tempo stesse scorrendo con la giusta velocità, ma non era così; erano già le cinque di pomeriggio di sabato: la nostra "luna di miele" era quasi finita.

Avevamo passato una giornata stupenda, distrutti per aver camminato quasi tutta la mattina ma felici come dei ragazzini. Riccardo mi aveva proposto di fare un ultimo sforzo e andare in centro, voleva farmi vedere il Duomo.

Arrivati in piazza ero rimasta sbalordita, il Duomo era bellissimo, inquietante sotto alcuni aspetti, ma affascinante: c'era una cattedrale con degli archi al centro e due torri altissime laterali.

Ero rimasta ferma con la testa in su per qualche minuto, non riuscivo a smettere di ammirare quell'edificio stupendo, Riccardo sapeva quanto io amassi i monumenti e aveva fatto bene ad insistere per andarci.

Mi sarebbe piaciuto entrare ma purtroppo era già chiusa.

<<Ti piace?>> mi aveva chiesto soddisfatto.

<<Non pensavo potesse essere così maestosa, da lontano l'avevo intravista, ma da vicino è tutta un'altra cosa>> risposi continuando ad ammirarlo.

Avevo scattato quasi cento foto, volevo immortalare tutto per non perdermi neanche un ricordo di quel meraviglioso weekend.

Riccardo aveva ricevuto una chiamata, si era allontanato da me e non ne capivo il motivo. La mia testa aveva iniziato a viaggiare. Era Elisa? Perché lo stava chiamando e soprattutto perché lui non voleva che io ascoltassi la conversazione?

Ero rimasta davanti il Duomo da sola, vedevo in lontananza Riccardo agitarsi mettendosi anche una mano sulla bocca. Era sconvolto, guardava a destra e sinistra, non capivo in cerca di cosa.

Finalmente aveva chiuso il telefono ed era rimasto fermo, bloccato con il cellulare in mano a fissarlo. Si avvicinava lentamente a me, come se non volesse farlo, come se ogni passo gli rendesse le gambe pesanti. Ma cosa era successo? Perché ci stava mettendo così tanto ad arrivare? La distanza tra me e lui sembrava infinita: eravamo a pochi metri ma sembravano dei chilometri. Finalmente era arrivato, mi aveva presa per mano e mi aveva fatta sedere su una panchina.

<<Devi tornare a casa!>> aveva detto quelle parole in modo secco, non riuscivo ancora a capire cosa stesse succedendo di così grave da dover tornare subito a Palermo.

<<Non capisco, chi era al telefono?>> mi sentivo cadere dalle nuvole, non mi dava nessuna spiegazione se non quella di dover tornare a casa.

<<Ti spiego tutto mentre andiamo a prendere le valigie>> mi disse accelerando il passo verso la macchina.

<<Riccardo chi era al telefono?>> dissi nervosa e con il tono di voce più alto.

<<Tua madre>> mi rispose agitando le chiavi mentre provava ad aprire la serratura.

<<Le è successo qualcosa? Sta male?>> stavo iniziando ad entrare in panico, mia madre chiamava Riccardo e non me, ma perché?

<<No, lei sta bene>> non riusciva a dire più di tre parole per frase, il mio cuore stava per esplodere senza neanche sapere la ragione.

Eravamo appena arrivati a casa, avevo provato a fargli altre domande, durante il tragitto, ma non aveva risposto, era rimasto a guardare la strada per tutto il tempo.

Arrivati in camera, aveva preso i suoi vestiti e tutti stropicciati li aveva messi in valigia.

<<Sbrigati Andy, dobbiamo andare>> mi disse facendo avanti e indietro per tutta la stanza.

Dopo aver caricato le valigie in macchina, stavamo facendo ritorno verso casa.

<<Ti prego, puoi dirmi cosa succede?>> gli chiesi nuovamente

<<Devi tornare a casa, Andy>> mi rispose stringendomi la mano, senza aggiungere altro.

Mille pensieri mi avevano attraversato la testa in un secondo. E se fosse successo qualcosa a mio padre? Non riuscivo a muovermi, tutti i muscoli del mio corpo erano paralizzati. Che sensazione assurda.

Non ero più riuscita a dire nulla, Riccardo correva premendo l'acceleratore.

Non volevo più chiedere altro, forse per paura della risposta. Avevo delle sensazioni terribili, ma non riuscivo ancora a muovermi, come se non potessi dire nulla ma solo ascoltare inerme.

Avevo una gran voglia di piangere, ma non riuscivo a farlo; mi sentivo mancare il respiro. Non ero pronta a perdere mio padre, dovevo dirgli ancora tante, troppe cose, non sapeva nulla di Riccardo, gli avevo mentito quando mi aveva chiamata e mi sentivo morire per questo.

Dopo quel pensiero, le lacrime avevano iniziato a percorrermi il viso, inarrestabili; sentivo di poter riempire un bicchiere con il mio pianto. Tutte le paure che avevo avuto fino a quel momento credevo fossero a causa di mio padre, ma non era così, avevo solo paura di perderlo; non gli avevo detto che gli volevo bene nel modo giusto. Non potevo perderlo senza dirglielo. Pregavo mentre piangevo, pregavo con il cuore che mi scoppiava, dentro di me urlavo una preghiera di supplica. Riccardo continuava a tenermi la mano, sentivo di stringergliela fino a fargli male ma lui non me la lasciava. "Ti prego Dio proteggi mio padre" continuavo a pregare sentendo il mio corpo molle, come se stessi per svenire. La strada sembrava interminabile per arrivare. Il conta chilometri segnava centocinquanta, Riccardo correva come se ci fossimo soltanto noi per strada.

Finalmente eravamo arrivati al casello autostradale per pagare il pedaggio, questo voleva dire che mancava circa una mezz'ora per arrivare a Palermo.

<<Sto facendo il più veloce che posso>> disse Riccardo in modo secco.

<<Va bene, ma dove andiamo?>> Chiesi sussurrando, ancora con le lacrime che mi bagnavano il viso. Avevo preso il cellulare, stranamente non c'era nessuna chiamata da parte di mia madre; lo avevo sbloccato per chiamarla ma il telefono si era subito spento per la batteria scarica; eppure, ricordavo di averla caricata.

Il mio cuore aveva rallentato, il mio corpo non era più molle. Stava tornando ad avere la stabilità di sempre, anzi stranamente lo sentivo stare bene, stavo ancora piangendo ma non sentivo più la faccia bagnata.

Riccardo mi aveva rassicurata che mancavano circa quindici minuti per arrivare in ospedale. Ma perché andavamo lì? Che strano, mi sentivo tranquilla, come se stessi arrivando in un posto sicuro.

La paura per mio padre era passata tutta d'un tratto. Era tutto così assurdo, tante cose non mi tornavano, perché adesso stavo bene? Perché adesso non mi spaventava l'idea di andare in ospedale?

La testa stava per esplodermi, tutti i cattivi pensieri però erano passati, come se non avessi nulla di cui preoccuparmi; era come se una voce dentro la mia testa mi parlasse e mi dicesse di non avere timore, che mio padre stava bene, che tutto ciò di cui avevo bisogno era lì, a portata di mano.

Ma di cosa avevo bisogno? La voce dentro la mia testa mi diceva di fare qualcosa. Ma cosa?

Eppure, sentivo di sapere cosa dovevo fare, ma non riuscivo a decifrare il pensiero. Riccardo aveva abbozzato un sorriso, come per rassicurarmi, sentivo di dover stare tranquilla e lo ero.

Avevamo appena parcheggiato, Riccardo si era allontanato da me, avevo proseguito da sola senza voltarmi. Sentivo la sua voce che mi diceva:

<<Adesso tocca a te.>>

L'ospedale era immenso, non ero sicura di conoscerlo, anche se aveva un non so che di familiare, come se ci fossi già stata, come se addirittura...

Avevo finalmente capito cosa dovevo fare, non riuscivo a crederci, era semplice, lo era più di quanto io stessa credessi, sorridevo, incredula. La voce dentro la mia testa aveva iniziato ad urlare di nuovo.

Questa volta, però, le parole erano ben distinte. Le sentivo benissimo adesso.

Tutto ciò che dovevo fare era: SVEGLIARMI.

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