Capitolo 34

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Ero distesa sul mio letto, e guardando fuori dalla finestra, si sentiva un clima più caldo.

Eravamo a maggio e percepivo già aria d'estate, (l'anno scorso avevo fatto il primo bagno a mare proprio in questo mese).

La vita fa degli scherzi strani alle volte, pensavo; un giorno sei distesa in spiaggia e quello dopo quasi morta in un incidente stradale. Questa esperienza mi aveva segnata per tutta la vita ma non volevo più piangermi addosso; dovevo godermi ogni singolo momento e non pensare a nulla. Dopo quello che mi era successo non potevo permettermelo.

Le mie amiche erano appena arrivate in camera mia, sbarrando la porta e correndomi incontro, proprio come avevo immaginato; Rebe teneva in mano un mazzo di girasoli (i miei fiori preferiti) ed Elena portava un peluche grande la metà di me ed un palloncino con su scritto: "Ti voglio bene".

<<L'idea del palloncino è stata mia, anche se lo aveva in mano lei>> disse Rebe, posando i fiori sul comodino in ferro accanto al letto.

<<Sei sempre la solita gelosa>> rispose Elena a tono.

Mi mancavano i loro battibecchi e avevo iniziato a ridere a crepapelle.

<<Ma che mi frega, voi siete qui ed io vi adoro>> risposi abbracciandole.

Eravamo rimaste abbracciate per un bel po', le stringevo forte. Anche se avevano fatto parte del mio sogno, averle davvero vicino a me e poterle toccare realmente mi rendeva felice.

<<Ragazze ho bisogno che mi chiariate alcune cose>> dissi, mentre stavano sistemando i regali che mi avevano portato; erano le uniche che potessero darmi ancora qualche spiegazione sui giorni passati in coma.

Avevano iniziato a raccontarmi cosa fosse successo il giorno dell'incidente e come avessero provato a segnare il numero di targa dell'auto ma non erano riuscite perché troppo distanti da me; Riccardo era fermo al semaforo nella corsia di fronte e vedendo la scena era subito sceso dalla macchina per capire cosa fosse successo.

Non riuscivo ancora a ricordare nulla di quel giorno, come se mi fossi creata un mondo immaginario, come se non avessi ancora voluto accettare la realtà.

<<La psicologa mi ha detto che Riccardo è venuto a trovarmi spesso>> dissi quasi indifferente, sperando che loro mi dicessero qualcosa in più, invece, l'unica cosa che mi disse Elena fu:

<<Si, è stato molto carino, veniva quasi ogni giorno>>.

Era bello sapere che qualcuno, oltre le persone care, si preoccupava di me, Elena era stata molto vaga in merito a Riccardo, come se mi nascondesse qualcosa, ma avevo evitato di chiedere altro, magari era solo una mia impressione e non volevo passare per esagerata, come sempre.

Il medico di turno era appena entrato e aveva chiesto alle mie amiche di uscire dalla stanza per potermi visitare, così Elena e Rebe erano andate via con la promessa di tornare il giorno dopo. Erano rimaste troppo poco tempo. Avrei voluto sapere cosa avessero fatto in mia assenza.

<<Come stai oggi Andrea?>> Mi chiese il dottore misurandomi la pressione.

<<Bene, mi sento un po' affaticata quando sto troppo in piedi, ma sto bene>> risposi con un sorriso.

<<Sta tranquilla, lentamente tornerai a sentirti nel pieno delle tue forze. A proposito, domani puoi tornare a casa.>> Ero felice nel sentire quelle parole, dovevo tornare alla mia vita il prima possibile per cercare di non pensare più a questa esperienza.

Quando il medico andò via, avevo dato la bella notizia a tutti, le mie amiche avevano risposto con tanti emoji sorridenti e mio padre era scoppiato a piangere per telefono.

<<Sei una lagna papà, sto bene non piangere più>> gli avevo risposto prendendolo un po' in giro. Erano lacrime di gioia, lo sapevo, ma da quel momento in poi, volevo sentire solo dei grandi sorrisi.

La giornata stava per terminare ed io mi sentivo un po' frastornata, erano successe così tante cose in quei giorni, che non riuscivo a capire realmente cosa stessi provando. Era un misto tra paura ed eccitazione; tornavo finalmente a casa, ma questo significava anche perdere ogni tipo di legame con quello che era successo, in particolare con Riccardo. Ero sicura, da adesso, che non lo avrei rivisto.

Mia madre era arrivata, facendomi sussultare, con un bel trancio di pizza.

<<Totò ti manda i suoi saluti ed è felice che stai bene>> disse.

Mi mancavano le serate in pizzeria a parlare con lui. Era sempre stato come un padre per me e le mie amiche, solo che io ero molto più legata a lui, visto che fino all'età di diciassette anni era la cosa che più si avvicinava ad una figura paterna. Mi ero ripromessa che una volta dimessa sarei andata da lui a salutarlo.

Dopo cena ero distesa sul letto a contemplare il soffitto, stavo bene, la confusione dentro la mia testa non era passata del tutto ma ero più serena, sapevo che fuori da quella stanza d'ospedale c'erano tante persone che mi volevano bene e che mi aspettavano per potermi abbracciare; la cotta per Riccardo sarebbe passata, prima o poi. Dopotutto, non potevo essermi innamorata di una persona che avevo visto una sola volta, prima di entrare in coma. Tutto ciò era assurdo. Anche se era stato molto carino quando era venuto a trovarmi, la cosa doveva finire lì, non potevo passare la vita a rincorrere qualcuno che neanche conoscevo, solo perché per quasi un mese era stato il mio "ragazzo" in un sogno.

Ero così assorta da non accorgermi che mia madre si era appisolata sulla poltrona, quella notte sarebbe rimasta con me, visto che il mattino successivo potevo tornare a casa; le avevo messo una coperta sulle gambe e mi ero rimessa a letto. Adesso ero contenta all'idea di essere dimessa e sapevo che, anche se in quel momento il mio umore era altalenante, tutto sarebbe tornato alla normalità.

Continuavo a ripetermi che doveva essere così. Se la vita mi aveva dato un'altra opportunità, non potevo permettere a niente e nessuno di rovinarla.

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