Capitolo 5

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Capitava molto spesso che io e le mie amiche a fine lezioni restassimo a scuola, era come se, una volta andati tutti via, la scuola fosse nostra; ci piaceva stare lì e anche se mancava ancora un po' di tempo al quinto anno, volevamo goderci ogni singolo istante delle superiori.

<<Non ve l'ho mai detto, ma il mio sogno più grande è quello di diventare un'attrice. Mi piacerebbe far parte di un film, essere fermata per strada per un autografo, rispondere a tutti i fans che mi scrivono sui social, impazienti di una mia risposta; e poi mi piacerebbe non far lavorare più mamma: comprarle una casetta e farle vivere una vita tranquilla>> dissi sognando ad occhi aperti.

<<Beh, sai, anche a me piacerebbe recitare>> mi aveva confidato Rebe.

<<Dove troviamo i soldi per la scuola di cinema?>> chiesi continuando ad immaginare una vita da star. <<Andy, sei sempre avanti, già pensi al futuro. Potremmo iniziare con il musical della scuola, fare una piccola parte e poi chissà... Manca ancora più di un anno alla fine della scuola, magari riusciamo a mettere dei soldi da parte in questo periodo, e poi ci pensiamo.>> Rebe non aveva tutti i torti. Mi conosceva bene, quindi, dopo avermi vista assorta, mi aveva pizzicata forte sul braccio per distogliermi dai pensieri:

<<Ahi ma sei scema?>> le dissi. Ridendo lei rispose:

<<Dai andiamo ad iscriverci.>>

Ogni anno la scuola dava uno spettacolo. Quest'anno avevano deciso di inscenare "Se il tempo fosse un gambero". Rebe non era entusiasta, non lo conosceva neppure, in quel momento avevo capito che si era iscritta soltanto per non lasciarmi da sola. Mi fece l'occhiolino e disse, come se mi avesse letto nel pensiero: <<Le amiche servono a questo no?>>

Avrò visto quel musical decine di volte e ogni volta avevo sognato ad occhi aperti la parte della protagonista: Adelina. Gli insegnanti che si occupavano del corso di teatro erano in auditorium, pronti per fare le audizioni. Ci eravamo presentati in tanti quel pomeriggio, così decisero di dividere i provini in due giorni. Tutti i candidati per la parte dei protagonisti, si sarebbero esibiti il giorno seguente, portando una canzone a piacere.

Elena non si era iscritta, non ha mai amato questa tipologia di attività, preferiva più un corso di ceramica, in più, a detta sua "i ragazzi carini, di certo, non si mettono a ballare su un palco."

Avevo insistito per restare a guardare i primi ragazzi fare l'audizione, una volta finita, Rebe disse ad Elena, che sbadigliava già da un'ora:

<<Ti sei annoiata?>>

<<Non sai quanto amica mia, avrei preferito vedere un film e piangere che stare qui. Adesso però andiamo a mangiare una pizza.>> Era rimasta con noi ed aveva atteso tutto il pomeriggio, quindi, le dovevamo un favore.

<<Ok mangiamoci sta pizza>> disse Rebe alzando gli occhi al cielo.

<<Solito posto?>> avevamo detto in coro, scoppiando poi in una fragorosa risata.

La pizzeria era molto carina e accogliente, quasi familiare. Il proprietario (Salvatore detto Totò), diceva sempre che noi eravamo le tre figlie scapestrate che non ha mai avuto.

Totò è un uomo sulla sessantina credo, abbastanza in carne e quasi del tutto stempiato; non parla mai con nessuno della sua vita privata ma ascolta i nostri problemi, proprio come un padre farebbe con le sue figlie.

<<Cosa prendono oggi le mie bambine?>> ci chiese sorridendo.

<<La mia solita pizza "leggera", peperoni e salsiccia>> dissi ridendo,

<<Per me margherita con funghi>> disse Elena.

<<Uhm, per me una biancaneve>> disse Rebe.

Mentre divoravo la mia pizza, nel vero senso della parola, Elena disse con la bocca piena:

<<Mangi troppo e non ingrassi mai, io respiro e prendo un chilo, ti odio!>>

La serata proseguì tranquilla come sempre, tra chiacchiere e confidenze fino alle 21:00 circa.

Andando via mi accorsi di aver lasciato il cellulare senza la suoneria per tutto il giorno. Mia madre aveva provato a chiamarmi dieci volte, avevo dimenticato che quella sera avrebbe finito tardi di lavorare e mi aveva inviato un sacco di messaggi. Mentre correvo verso l'autobus ero intenta a scriverle un messaggio di scuse e non mi ero accorta che le mie amiche mi stessero urlando di stare attenta, e che un Suv nero fosse riuscito per miracolo a frenare a due centimetri da me.

Dallo spavento avevo perso l'equilibrio, finendo per terra e sbattendo la testa.

Mentre mi rialzavo toccandomi la nuca, un ragazzo in preda alla rabbia scendeva dall'auto e aveva iniziato ad urlarmi contro:

<<Ma ti sembra il modo di attraversare? Potevo investirti, ma dove hai la testa?>>

<<Scusa, davvero è che...>> non ero riuscita a terminare la frase che lui disse:

<<Stai zitta ragazzina, sarei potuto finire in galera se ti avessi ammazzata>>. Una volta in piedi, risposi con aria ironica e infastidita:

<<Sto bene, non mi sono fatta nulla, grazie per avermelo chiesto, la tua fedina penale oggi è salva, nessuno ti arresterà.>>

Probabilmente, avendo capito di aver detto una sciocchezza, mi disse con un tono più calmo:

<<Ho avuto paura anche io scusami e non solo per la galera. Pensavo di averti ammazzata>>.

Oh mamma! Era incredibilmente bello. Alto almeno 1,80, avevo il cuore che mi batteva all'impazzata e le farfalle nello stomaco; era come se, per un istante, tutto intorno a me si fosse fermato e in quel momento ci fossimo solo io e lui.

Indossava una felpa grigio chiara con il cappuccio, dei jeans neri un po'strappati alle ginocchia e scarpe da tennis. Stava ancora parlando ma non lo stavo più ascoltando, lo fissavo e basta. Aveva gli occhi marrone scuro che brillavano anche al buio e i capelli castani con dei riccioli. Le mie amiche arrivarono come delle furie chiedendomi se stessi bene. Non riuscivo a smettere di fissarlo, mi sentivo paralizzata; cosa mi stava succedendo?

Ad un tratto mi disse:

<<Davvero scusa per ciò che ho detto, ho avuto paura anche io, mi chiamo Riccardo>>.

<<Andy>> risposi, mentre le mie amiche si accertavano che fossi ancora tutta intera

<<Tranquillo, sono io a doverti chiedere scusa, ero intenta a guardare il cellulare, non è colpa tua, abbiamo avuto paura entrambi>> gli dissi.

Dolorante ma eccitata tornai a casa. Mia madre piangeva a dirotto, era inconsolabile, le parlavo ma sembrava non ascoltarmi.

<<Prometto per le prossime volte, di risponderti subito, ti voglio bene >> le dissi dandole un bacio sulla fronte.

Era tutto molto strano. L'avevo fatta preoccupare, non avevo risposto a qualche chiamata, ma la sua reazione mi era sembrata troppo esagerata. Probabilmente, come dice sempre lei, un giorno quando sarò mamma anche io, capirò.

Non le raccontai nulla del "quasi incidente", si era già preoccupata abbastanza. Andando a letto però la mia testa non faceva che pensare a quanto fosse accaduto e a quel meraviglioso ragazzo dagli occhi profondi. Quella giornata era stata così piena di emozioni che non presi subito sonno. Mi addormentai solo dopo ore sognando quell'auto e quell'incontro per tutta la notte. Io quell'auto l'avevo già vista da qualche parte, ma non riuscivo a ricordare dove.

Ti Ho Già Incontrato &quot; La Realtà Dentro Di Me&quot;Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora