Capitolo 14

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Da qualche settimana Elena frequentava un ragazzo più grande; quel giorno ci aveva chiesto di accompagnarla all'università così da poterlo incontrare.

Io e Rebe avevamo fatto delle smorfie, non eravamo molto d'accordo a questa conoscenza soprattutto perché lui aveva provato più volte ad invitarla a casa sua quando i genitori erano partiti.

<<Vi prego ragazze per me è importante>> ci aveva supplicate dopo il suono della campanella.

<<Ma dobbiamo prendere almeno tre autobus, fare più un chilometro a piedi... e lo sai che io odio camminare.>> Rebe non è mai stata un tipo sportivo e ogni volta che le avevamo proposto di iscriverci in palestra ci aveva risposto di no perché lei ama i suoi chili in più; non che fosse obesa, ma stava bene con sé stessa. I suoi cinquantacinque chili la rendevano diversa dalle altre.

<<Dai Rebe finiscila, noi ci sosteniamo a vicenda e se Elena ha bisogno di noi, noi andiamo>> risposi, anche se non mi andava proprio di fare tutta quella strada.

<<Tra qualche giorno parti, è anche un'occasione per stare insieme>> mi indicava Elena giocandosi la carta del viaggio, provando ad impietosire Rebe.

<<Uffa, eh va bene>> rispose lei sbuffando.

Eravamo arrivate all'università dopo circa un ora, mi sentivo zuppa di sudore. Avevo insistito per poter passare dalla facoltà di lettere e filosofia per prendere qualche dépliant del Dams (Discipline Arte Musica Spettacolo). Una ragazza mi aveva accolta in modo carino, facendomi vedere alcune aule dove si tenevano le lezioni; non riuscivo a parlare e non la ascoltavo più. Ero affascinata da tutti i dettagli, anche dai più stupidi. Leggevo ogni manifesto affitto in bacheca non pensando alle mie amiche che erano rimaste di sotto.

Sapevo già che dopo le superiori se non fossi riuscita a partire per la scuola di cinema a Roma, sarei andata all'università pubblica. Il campus era bellissimo: gli edifici erano di vari colori e ognuno aveva in alto il nome della facoltà.

<<Scusate ragazze, mi sono persa lì dentro. Era tutto fantastico>> dissi una volta scesa dal palazzo, ancora euforica per aver visto quella meraviglia.

<<Possiamo andare adesso?>> aveva detto Elena stufa dei miei discorsi.

<<Si certo. Scusa, mi sono fatta prendere dall'emozione>> camminavo guardando ancora il dépliant e fantasticavo sulle lezioni che avrei seguito tutti i giorni.

<<Voi siete le famose ragazze. Non fa altro che parlare di voi. Finalmente vi conosco>> disse Giovanni con un sorriso.

Non mi convinceva affatto, aveva ventidue anni e trovavo falsa ogni parola che diceva, non so perché, forse mi sbagliavo, ma non lo vedevo sincero. Per tutto il tempo avevo cercato di restare zitta evitando di commentare le sue battute, ma probabilmente aveva notato qualche espressione strana sul mio viso.

Le smorfie sono una mia caratteristica, le faccio di continuo: se non mi piace un gusto di gelato, un vestito, una pizza. Le mie amiche hanno sempre detto che tutto ciò che non riesco a dire la mia faccia lo esprime.

<<Come vi siete conosciuti?>> aveva chiesto Rebe, si annoiava terribilmente, guardava l'orario sul cellulare spesso e sbadigliava di continuo.

<<É una storia buffa>> Rispose lui, quasi come se non vedesse l'ora che gli venisse fatta quella domanda. <<La scorsa estate lavoravo al super market vicino casa sua; non avevo mai avuto il coraggio di parlarle. Un giorno lei si è avvicinata per chiedermi se avessimo spostato la carta igienica. Da lì è nato tutto.>>

<<Dalla carta igienica?>> dissi alzando un sopracciglio. Rideva come se fosse la cosa più divertente al mondo.

<<E perché non ne sapevamo nulla?>> aveva chiesto Rebe con aria di disapprovazione.

<<Stiamo insieme da poco>> rispose Elena, spaventata. Credo che immaginasse la nostra reazione.

Avevamo appena preso l'autobus per tornare a casa, quando dissi ad Elena:

<<Tempo fa sei stata sincera con me e adesso voglio ricambiarti il favore. Ma sei scema? È falso come una banconota da undici euro>> le dissi, forse in modo troppo diretto. Non l'avevo mai vista così presa da un ragazzo e la cosa mi spaventava. Non conoscere quel lato della mia amica mi faceva stare male.

<<Ti vuole solo portare a letto!!!>> continuai alzando il tono della voce, tanto, che alcuni passeggeri si voltarono guardandoci.

<<Ragazze devo dirvi una cosa>> era intervenuta Elena prima che Rebe potesse parlare.

<<Che cosa hai combinato?>> Le avevo afferrato un braccio per scuoterla.

<<Sabato scorso, quando vi ho chiesto di coprirmi se avesse chiamato mia mamma, ero da lui e abbiamo fatto l'amore>> per la prima volta Elena era arrossita.

Rebe era diventata improvvisamente attenta alla discussione.

<<Mi ha invitata a mangiare una pizza a casa sua, abbiamo iniziato a baciarci, senza neanche accorgercene eravamo distesi sul divano e lui era sopra di me senza la maglietta>> la mia amica non riusciva ad alzare lo sguardo da terra.

<<Ma a te andava di farlo?>> le chiesi in modo innocente. Nessuna delle due aveva avuto il coraggio di chiederle com'era stato.

<<Eravamo da soli e la situazione è diventata romantica; voi sapete come sono fatta, non me n'è mai fregato nulla dei ragazzi, ma Giovanni è diverso e credo di essermi innamorata.>> Non riuscivo più ad essere arrabbiata, forse perché capivo come si sentiva per via di Riccardo. Era sincera, quindi decisi di non dirle altro.

<<Siamo felici per te. Giusto Andy?>> disse Rebe dandomi un pizzico sul braccio.

<<Si certo>> avevo abbozzato un sorriso anche se un po' falso.

Per tutto il tragitto, dopo quella confidenza, avevo tenuto gli auricolari inseriti; non volevo rovinare la felicità della mia amica con qualche frase acida.

Ero davvero contenta per lei, ma sentivo ancora che qualcosa puzzava, magari mi sbagliavo d'altronde non avevo avuto tutte queste grandi esperienze, quindi mi ero limitata ad abbracciarla e a chiederle scusa per le cose dette.

<<Andy?>> Elena mi aveva preso la mano.

<<Grazie per quello che mi hai detto, so che lo fai per me, ma sento che lui mi ama davvero e vorrei provare a fidarmi almeno per una volta.>>

<<Ma se ti fa soffrire lo uccido>> le dissi ridendo.

<<Lo uccidiamo>> era intervenuta Rebe facendo il segno del taglio alla gola.

Mi sentivo un po' strana, avevo l'umore a terra ma non sapevo perché. Dopo due giorni io e mamma saremmo dovute andare a casa di Giulia e tutto ad un tratto quell'eccitazione si era spenta.

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