22.

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Tornai a casa di Daniel, ormai era come se io e mia madre ci fossimo trasferite lì. Gabrielle continuava a fissarmi con i suoi occhi inquietantemente penetranti, ed io, ogni volta, distoglievo lo sguardo. Sapevo che avrebbe capito subito che qualcosa non andava, anche se sicuramente l’aveva già dedotto dal mio comportamento schivo e silenzioso. Daniel ormai non si agitava più nel sonno, ma rimaneva comunque in uno stato dormiente. Raramente l’avevo visto sveglio, e in quelle poche occasioni non mi aveva nemmeno degnata di uno sguardo, preferendo il piumino che lo avvolgeva ai miei occhi feriti.
   Mamma continuava a fare domande sul perché mi comportavo così. Ancora non avevo capito che cosa volesse dire quel “così”, ma credo si riferisse al fatto che tendevo a non parlare con nessuno, nemmeno al mio riflesso. Di sicuro con lo specchio non ci tenevo a parlare: ero sempre più magra. Il viso rimaneva quasi lo stesso di prima, ma quando alzavo la maglietta le ossa del bacino sporgevano fin troppo, e riuscivo, con mio orrore, a circondarmi il polso con pollice e indice della mano. Ma non riuscivo a mangiare. Ero troppo preoccupata.
   Avevo paura che Lucifero avesse già parlato con Laura, che le avesse rivelato la sua vera natura, e la verità su di me. Ma ancora non piovevano anatre, quindi ritenevo non sapesse ancora nulla.
   -Mangi qualcosa?- La voce preoccupata di mia madre mi fece distogliere lo sguardo dal vuoto. Ero in camera di Daniel, lui dormiva – che novità – e io mi ero incantata a guardare il dipinto dell’Inferno dantesco appeso alla parete.
   Mi voltai verso di lei. –No, grazie- risposi con voce flebile.
   Mamma mi lanciò un’occhiata in tralice, serrando le labbra. Era irritata e preoccupata, lo vedevo bene. –Non mangi nulla. Devi mangiare qualcosa. Almeno vieni a sederti a tavola- mi rimproverò sbuffando.
   -D’accordo.
   Con passo pesante seguii mia madre giù le scale fino alla cucina, dove c’erano Gabbie a stendere la tovaglia, Miles ai fornelli e Luana che leggeva il giornale. C’era una quarta persona davanti all’armadio dove erano riposte le stoviglie. Era alto, moro, e fin troppo famigliare.
   -Credo che tornerò su da Daniel- borbottai a mia madre.
   Il ragazzo si girò, e quegli occhi verdi mi circondarono di sensi di colpa. Deglutii, e girai i tacchi, nel tentativo di scappare dalla tranquillità di quella situazione così normale, ma così straniera a come mi sentivo in quel momento.
   -Jennifer, resta. Abbiamo delle notizie da dare- mi bloccò Gabrielle. Sospirai rassegnata e stizzita, e mi lasciai cadere su una sedia, provocando uno scricchiolio preoccupante. Guardai tutti, a turno, prima di fissare attentamente Gabbie. La ragazza prese un grosso respiro, per poi sospirare rumorosamente. Quella scena mi mise malinconia, Gabbie non era fatta per essere malinconica, anche se i suoi occhi grigi a volte potevano far pensare il contrario.
   -Robert è stato cacciato- disse Gabrielle. –Anzi, più correttamente è scappato prima di essere cacciato. Lucifero sa che è stato lui ad aiutarti a scappare.
   Sentivo lo sguardo infelice di Robert su di me, ma raccolsi tutte le forze che mi rimanevano per ignorarlo, e continuai a guardare inespressiva Gabbie.
   -Perciò non aveva dove vivere, e, di comune accordo, abbiamo deciso di accoglierlo.
   -Di comune accordo?- chiesi strabiliata. –E questo accordo comprendeva anche il non farmi sapere nulla?
   -Ehm…- balbettò Miles. –Veramente abbiamo pensato che se tu l’avessi saputo, saresti stata contraria…
   -E questo vi sembrava un motivo sufficiente per tacere? Daniel lo sa?
   -No- rispose secca Luana.
   Risi istericamente, sotto lo sguardo allibito di tutti. –Voglio vedere quando Daniel si riprenderà e lo vedrà gironzolare tranquillamente per casa. Altro che botte.
   -Jennifer!- esclamò scandalizzata mia madre.
   -Mamma- le feci il verso.
   -Fila subito in camera tua!
   -E va bene- dissi strascicando le parole.
   Mi alzai dalla sedia, trascinandola e producendo un rumore stridente e fastidioso. Lentamente, camminai fino alle scale, le percorsi e all’improvviso mi ritrovai nella stanza che mi avevano assegnato, gettata sul letto troppo morbido a piangere. Deglutii, tentando di contenere i singhiozzi. Temevo potessero sentirmi anche dabbasso, e non volevo assolutamente sembrare debole. Finalmente riuscii a domare le lacrime, e rimasi con la faccia affondata nel cuscino, con la federa fresca di bucato umida di umiliazione.
   Qualcuno bussò lievemente alla porta. Lo ignorai, fingendo di dormire. Non volevo la comprensione di nessuno. Sentii una mano premere sulla mia spalla, così mi girai bruscamente su un fianco, dando le spalle al visitatore sgradito. Lo sentii sospirare, e poi le molle del letto cigolarono piano, sotto al suo peso mentre si distendeva accanto a me. Il suo braccio si posò delicatamente sul mio fianco scoperto, tirandomi a sé, in un abbraccio caldo. Mi accarezzò il collo col naso, e sentii chiaramente l’odore di fumo, e non riuscii a trattenere le lacrime. Ogni volta che singhiozzavo, mi stringeva un po’ più forte, per poi allentarla. Con il pollice fece dei movimenti circolari sulla mia pelle. Mi ricordò quando lo faceva in classe. Sembrava difficile, allora, cercare di essere normali, far finta che tutto andasse bene. Ma in realtà era tutto così semplice, rispetto a ora.
   Scossi le spalle, e il braccio di Robert si sollevò dal mio corpo. L’aria fredda colpì il punto appena scoperto con violenza, facendo notare di più l’assenza di calore.
   -Vuoi che me ne vada?- sussurrò il ragazzo, forse un po’ ferito dal mio gesto.
   -No- dissi precipitosamente io. Non volevo la compassione di nessuno, ma volevo qualcuno che mi capisse e che mi stesse accanto. Forse Robert ne era capace.
   -Va bene.
   Non mi fece più domande, e ci addormentammo così.

Nephilim ~ la PresceltaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora