13.

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Continuai a vagare per i corridoi infuocati, senza una meta precisa, volevo solo allontanarmi da Lucifero, da tutto ciò che voleva e che poteva (purtroppo) prendersi. Sentivo le guance scottare, le lacrime non facevano in tempo a raggiungerle che già erano evaporate. Quanto avrei voluto togliermi di dosso quel maledetto vestito, rimanendo in intimo. Ma se avessi incontrato qualcuno sarebbe stato imbarazzante, perciò cercai di non dare troppa importanza al sudore che mi ricopriva come una seconda pelle, o al fatto che ogni due passi inciampavo nell'orlo della gonna, poiché l'abito, col sudore, continuava a scivolarmi di dosso, e io continuavo a risollevarmelo. Era estenuante, faticoso, e... totalmente inutile. Tanto Lucifero poteva venirmi a recuperare in qualunque momento, mi stupivo che non l'avesse già fatto. Inciampai per l'ennesima volta, ma non mi tirai su. Stetti a terra, avvicinai le gambe al petto, circondandole con le braccia. Abbassai la testa, poggiando la fronte sulle ginocchia, implorando pietà a nessuno in particolare, pregando che qualcuno mi trovasse e mi portasse fuori da quell'Inferno. Restai raggomitolata così per un'eternità.

***

Aprii gli occhi, e mi resi conto d'essermi addormentata in quel corridoio; solamente non ero più tra due pareti infuocate, a morire di caldo nel mio abito nero zuppo di sudore. Ero nella mia stanza, avvolta da una camicia da notte fresca e profumata di lavanda. Mi distesi su tutto il letto, allungando le gambe finché non sentii i muscoli urlare di dolore, stiracchiai le braccia fino a sentirle bruciare, poi rilassai il corpo. Percepii tutta la stanchezza e la tensione accumulata scivolare via, assorbita dal materasso morbido di quella prigione. Ero tutta intorpidita, così, lentamente, mi alzai, e feci qualche passo, giusto per sgranchire un po' le articolazioni. Non sapevo che fare, ero da sola, in un posto isolato dal mondo, senza svago alcuno. Così osservai ogni minimo dettaglio della stanza.

Dopo qualche ora (credo) avevo memorizzato tutte le 73 512 venature dei cassetti della toeletta, diviso tutto il loro contenuto per colore, grandezza e utilità, fatto e rifatto il letto 15 volte, acconciato i miei capelli in un'infinità di modi diversi.

Ero stanca, non tanto fisicamente, quanto psicologicamente. Volevo un po' d'aria fresca, riuscivo a sentire il puzzo di uova marce tipico dello zolfo dappertutto, anche sul piumone, nonostante cercassi di concentrarmi unicamente sull'aroma di pulito che tentava di dominare nelle fibre della stoffa morbida. Volevo uscire, vedere un prato, un albero, la vita in pieno svolgimento. Lì c'era solo la morte, sebbene la mia cella assomigliasse a una stanza di una villa, a volte mi pareva di percepire le urla delle anime dannate. Insomma, quello era l'Inferno, da qualche parte dovevano pur esserci i morti. Non ci tenevo molto a scoprirlo, ma sapere dove fosse mi avrebbe, strano a dirsi, rassicurata. L'essere sicura di trovarsi lontano da quei poveri spiriti agonizzanti sarebbe stato fantastico.

Cominciai a giocherellare con un'anta dell'armadio, aprendola e chiudendola, in un moto ipnotico e senza fine. Non c'erano vestiti, all'interno. Forse venivano aggiunti in base ai capricci di Lucifero. Lentamente, mi sedetti. Tenni aperto il guardaroba, e cominciai a picchiettare le unghie sul fondo rialzato, spostando ogni tanto la mano. Ad un certo punto udii un suono differente, più sordo, come se lì il legno fosse cavo. Sempre più eccitata, confrontai quel suono con quello che le unghie producevano a contatto con il legno più a sinistra. Sì, erano decisamente diversi. Con le unghie cominciai a forzare il pannello che stava alla base dell'armadio, sentivo le punte delle dita urlare pietà, avevo paura di scarnificarmele, vedevo il sangue affiorare dai lati delle unghie. Strinsi i denti, e continuai, con le lacrime di dolore fisico che facevano spudoratamente capolino ai lati degli occhi.

Quando finalmente l'asse di legno si sollevò, seppur di qualche millimetro, infilai a forza tre dita nello spazio, e spinsi verso l'alto. Non appena la distanza fra i due pannelli aumentò, aggiunsi l'altra mano, e con essa il doppio della forza. Riuscii a spostare la lastra, e notai che c'era un vuoto, sotto: ecco perché i due echi risultavano differenti. Scandagliai con lo sguardo la cavità, in cerca di qualunque cosa non fosse approvata da Lucifero. Sorrisi maligna quando trovai un libriccino. Era davvero piccolo, poco più grande della mia mano, rivestito di pelle nera sbiadita, i bordi spellati e sgualciti dal tempo. Delicatamente, sfogliai le pagine ingiallite, inspirai profondamente l'odore di vecchio che la pergamena emanava scorrendo tra le mie dita sottili.

Era un diario. L'inchiostro sbavato, sbiadito, rivelava una calligrafia aggraziata e delicata, che scorreva sulle pagine lise. Aveva un che di familiare, conoscevo la forma di ogni singola lettera. Tornai alla prima pagina.
"Diario di Thomas Young".

Le guance mi si bagnarono, strinsi forte al petto quel quadernetto. Non avevo mai sentito mio padre così vicino, anche se così lontano, da me. Con le mani tremanti andai alla prima annotazione.
Primo giorno:
Ho deciso di tenere un diario, di modo che se venga ritrovato da qualche povero sfortunato sappia che cosa si deve aspettare.
In questa vita mi chiamo Thomas Young, sono sposato con una bellissima donna, Ann- Marie, che al momento è a poche settimane dal partorire la nostra prima figlia. Mi rammarico del fatto che non sarò presente alla nascita della nostra piccola, ma in fondo credo che la mia presenza non gioverebbe affatto alla loro vita normale. Ho paura che mia figlia possa nascere come me, che debba vivere una vita piena di difficoltà, diverse dalla norma. La sua aura spiccherà più delle altre, e se dovesse venire scoperta per la sua vera natura, temo le farebbero del male.

Le lacrime scendevano più copiose di prima, spostai in avanti il diario per evitare che si rovinasse. Continuai a leggere.
Io sono un angelo. Ho millenni alle spalle, questa è la mia ennesima vita, ma è la più bella. Ho una moglie, una figlia, e anche se sono lontano da loro, le sento sempre vicine.
Lucifero mi ha rapito, sa che so come ristabilire la Via, ma non glielo dirò mai. Non posso tradire così la mia specie, condurre alla distruzione tutto l'Universo angelico. Sarebbe un atto meschino, e puramente egoistico. Ovvio, mi piacerebbe vivere, ma se la mia vita costasse migliaia di angeli, allora preferisco morire. Chiamatelo coraggio, ma io penso sia semplicemente il valutare ciò che più conviene. Sono pronto a morire.

Lasciai scivolare a terra quel diario, mentre le parole di mio padre lampeggiavano ancora davanti agli occhi, fulminee e inesorabilmente dure, offuscate dalle lacrime che non volevano finire mai.

Nephilim ~ la PresceltaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora