11.

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Sogghignava, il maledetto. Mi fissava con quei suoi occhi blu, profondi come pozzi bui, incantatori come serpenti a sonagli, ingannevoli come le promesse fatte sul momento in preda all’emozione. Oscuri, dall’eterno fascino bugiardo eppure veritiero, da evitare ma da cui era impossibile distogliere lo sguardo, sedotto dalla luminosità guizzante della malizia che illuminava le iridi blu notte.

Il suo pallore sporco di peccato e presunzione sembrava risplendere nell’oscurità del salone di marmo nero, uno scarno fantasma della bellezza sfolgorante che aveva perso una volta Caduto. Se ne stava comodamente seduto su quell’enorme trono di tenebra, la schiena non perfettamente appoggiata allo schienale, una posa che qualsiasi dottore avrebbe calorosamente sconsigliato. Le mani in grembo, le dita sottili intrecciate. Quando mi avvicinai fino a trovarmi a pochi metri da lui, si puntellò sui gomiti, assumendo un portamento più rigido e attento, senza perdere quella smorfia divertita e continuando a tenere fissati i suoi occhi nelle mie pupille.

-Che cosa cerchi, mia diletta?- Aveva una voce splendida, ammaliante. Ma graffianti e ambigue erano le sue intenzioni, la sua natura, il suo essere era intriso di Male e Tenebra, malizia e sadica fantasia. –O meglio, chi?

Volevo insultarlo. Volevo sommergerlo della mia rabbia, il mio dolore, la mia furiosa pazienza, la mia convivenza con la convinzione di non aver avuto un padre accanto a me per tutta la vita, e la consapevolezza che avevo da sempre un’idea sbagliata, che lui era ancora vivo, e che potevo trovarlo, avendo finalmente la possibilità di conoscerlo, la scoperta straziante eppure esaltante di non essere quello che ho sempre creduto, il crudele ruolo che mi spettava in tutta quell’opera, la parte che dovevo recitare, la persona che tutti volevano che fossi, ma che non sapevo se ero realmente disposta a esserla. Tutto quello che avevo dentro, tutte le emozioni, volevo che lui le provasse, le soffrisse, le vivesse tutte insieme, in un unico, insopportabile, inaccettabile, doloroso momento, e che lo assillassero per il resto dei suoi giorni, che lo conducessero alla morte per pazzia.

Invece rimasi fredda, lasciai da parte quel tornado di confusione e ira, tirai fuori tutta la gelida, pragmatica calma che non avevo mai avuto, ma che seppi creare sul momento. –Tu sai cosa voglio. Lo tieni prigioniero da diciassette anni, ed è ora che venga liberato. Ridammi mio padre.

Rise, intollerabile, fastidiosamente allegra di una gioia maligna. –Chi ti dice che sia ancora vivo, dolcezza? Chi ti dice che non sia morto da molto, che non l’abbia ucciso contando sulla tua vana speranza di salvarlo?

No. Sgranai appena gli occhi, feci di tutto per restare impassibile, per non far notare lo sconcerto e la paura che andavano formandosi in me. Lui è ancora vivo, lo sento. Non è morto, è qui da qualche parte. Vuole solo manipolarti, ottenere quello che vuole. Usa la tua umanità per raggiungere il suo orrendo scopo. Resta calma. Non cedere. Concentrati.
Concentrati.

-Voglio mio padre. Ora- ribadii gelida, mantenendo a stento la calma. Non dovevo assolutamente mostrare segni di debolezza, o non l’avrei mai visto.

-Il tuo abito ti fa apparire una principessa, splendore- disse. Voleva cambiare discorso, distrarmi. Ciò voleva dire che mio padre era ancora vivo. Oppure che era inutile proseguire la conversazione, dato che non avrebbe portato a nulla, in quanto lui era… no, non dovevo nemmeno permettere che quell’idea mi passasse per l’anticamera del cervello. No, no, no. –Su, fammi una giravolta- continua, lanciandomi sguardi languidi e vomitevolmente maliziosi. C’è un certo fascino in lui, come in una pantera. Bella nell’aspetto ma letale nelle intenzioni.

Ignorai la sua richiesta. Non avrei mai obbedito ai suoi stupidi capricci. Vedendo la mia ostilità e il mio disprezzo, Lucifero socchiuse i grandi occhi blu, diventarono due fessure, si tramutarono negli occhi di un serpente incantatore. Ti ipnotizzava e poi ti uccideva.

Nephilim ~ la PresceltaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora