18.

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I sogni non si erano fermati, anzi, erano più violenti. Tutti coloro che più mi stavano a cuore morivano, venivano torturati, ogni scenario era più brutale di quello precedente. Mi svegliavo in bagni di sudore, il respiro corto, a volte urlando. Mia madre era perennemente preoccupata per la mia salute. Quasi non mangiavo, giusto qualcosa a colazione, e se era un giorno buono riuscivo a far stare nello stomaco quel poco che ingerivo.

I giorni passati nell’Inferno, scoprii, avevano corrisposto a una sola notte sulla Terra. Nessuno aveva notato la mia assenza. Mamma non era venuta a controllarmi prima di andare a dormire, così non si era accorta che non ero in camera mia.

Daniel non si era più fatto sentire. Non veniva a scuola, e le rarissime volte che riuscivo a incrociarlo era sfuggente, non mi guardava neppure. Era totalmente indifferente alle parole che mi aveva detto quando era venuto a salvarmi, sembrava non ricordare il nostro bacio, talmente passionale da bruciare più di quel posto pieno di dannati e fiamme. All’inizio conservavo ancora una piccola speranza. Ma sentivo il mio cuore spaccarsi ogni volta che vedevo il suo banco vuoto, e che il suo sguardo dorato evitava il mio, pieno di lacrime e dolore. Diventai quasi indifferente, e fredda. Non piangevo quasi più. Avevo versato così tanta sofferenza e tristezza dagli occhi in quei pochi giorni che per anni non avrei più avuto nemmeno il diritto di lasciarmi sfuggire una sola piccola lacrima.

Poi, però, erano iniziate le visioni. Evidentemente i sogni terribili non bastavano a distruggere la mia già più che debole sanità mentale. Brevi ma strazianti flash di morte, risate agghiaccianti e fuoco. Mi sentivo spossata, e quando erano particolarmente devastanti mi riprendevo con un martellante mal di testa. Una volta ero svenuta. Mamma si era quasi presa un infarto.

Lasciavano un sottile puzzo di zolfo, quasi impercettibile. Forse era la mia immaginazione, ma credevo di sentire davvero l’odore dell’Inferno.

***

-Jennifer, gli scatoloni!- mi richiamò Laura, esigente. Andai veloce nell’angolo della palestra a prenderli. Erano pieni di cianfrusaglie halloweeniane, tipo ragni in plastica, tubetti di sangue finto e zucche di cartapesta arancioni. Glieli portai, e la mia amica mi scrutò con uno sguardo strano, inquisitorio e triste, malinconico. Come se volesse sapere che cosa avevo per la testa in quei giorni e fosse in qualche modo addolorata del fatto che non gliene parlassi.

-Eccoli- borbottai, voltando la testa. Così però gli occhi ricaddero su una figura muscolosa che trasportava una scala. I sensi di colpa mi si attorcigliarono nello stomaco, dandomi la nausea. Volevo parlargli, ma poi cosa gli avrei detto? “Ehi, ciao, scusa ma ti ho tradito con Daniel mentre ero segregata all’Inferno. Mi dispiace, ma capita!”. Non era proprio il caso. I giorni passavano, e passava anche il mio coraggio e la mia volontà di chiarire le cose.

-Allora?

Scossi la testa, girandomi verso Laura. Lei alzò un sopracciglio perfettamente disegnato, aspettando una risposta alla sua domanda non perfettamente chiara. Anche se io avevo capito cosa voleva sapere.

-Allora cosa?- domandai innocentemente. Sbuffò. –Hai parlato con Cameron? Un’altra fitta al petto. –No- sbottai.

-Quando hai intenzione di farlo?- mi rimproverò la ragazza. Alzai gli occhi al cielo, evitando di risponderle.

-Non fare l’esasperata con me, Jennifer Young!- esclamò, fingendosi esageratamente irritata. –Sappi che soffre nel vederti così indifferente- sussurrò poi. -Lui ti vuole bene, non vuole vederti stare male. Perché tu stai male, Jen, anche se fai finta di niente.

Anch’io volevo bene a Cam, ed era proprio quello il problema: non c’era quella cosa in più dell’amicizia che fa stare insieme due persone come fidanzati. Certo, mi piaceva, ma era l’attrazione che si ha verso un fratello: solo profondo affetto e senso di protezione.

Nephilim ~ la PresceltaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora