Capitolo 3

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Quella mattina a svegliarmi non fu il solito suono fastidioso di quella sveglia, ma furono quei movimenti che riuscii a percepire al mio fianco che mi portarono ad aprire immediatamente gli occhi, rimanendo letteralmente scioccato.

Che diavolo ci faceva quel ragazzo dormiente sotto le coperte del mio letto? Come c'era finito? Perché non lo avevo buttato fuori a calci la sera prima?

Feci un sospiro prima di poter farmi prendere dalla paranoia, tirandomi a sedere, gettando uno sguardo al cellulare per poter leggere l'ora, 06:47. Dovevo svegliarlo.

«Christian alzati» Affermai senza troppa delicatezza, scuotendolo appena per il braccio, sentendolo mugolare in disaccordo

«Alza il culo da questo letto» Continuai, vedendolo rigirarsi dal lato opposto al mio dandomi così le spalle con la convinzione che in quel modo lo avrei lasciato stare

«Oh ma ti alzi? Devo andare a scuola!» Esclamai e finalmente lo vidi muoversi per mettersi a sedere a sua volta, con gli occhi semichiusi

«Ti hanno mai detto che non sai svegliare le persone?»

«Non ho mai dovuto svegliare nessuno»

Risposi tagliente, alzandomi da quel letto per avvicinarmi all'armadio per poter prendere qualcosa da indossare dopo aver fatto una doccia

«Che ci fai nel mio letto? Non credo di avertici invitato io» Parlai, mentre tiravo fuori una felpa bianca

«Quando siamo tornati da te dopo il giro in macchina ti eri addormentato sul sedile e mi sono ritrovato a portarti dentro casa in braccio perché non ti volevi alzare. Ti volevo mollare lì sul letto e andarmene in realtà, ma mi hai tirato per il braccio quando ti ho lasciato là sopra e mi hai chiesto di restare»

Ringraziai il cielo che gli stessi dando le spalle perché in quel momento spalancai la bocca e gli occhi, più che stupito da me stesso e da quel comportamento.

Dovevo smetterla di avere a che fare con quel ragazzo, il prima possibile; lo conoscevo da meno di 48 ore e già stava scombussolando le mie routines e le mie azioni.

«Grazie per avermi riportato a casa, mi dispiace averti fatto fermare per la notte»
Mi voltai, guardandolo negli occhi

«Non è stato un problema alla fine»

«Per me sì. Ora vado a farmi una doccia, non voglio trovarti qui quando torno.»

Usai quel tono gelido che non ammetteva remissioni, e lui sembró capire la serietà di quelle parole

«Stasera se sarai al locale non avvicinarti a me, lasciami perdere e basta. Non ho tempo per nient'altro nella mia vita.»

Conclusi il discorso, uscendo velocemente da quella stanza con ancora i vestiti tra le mani, raggiungendo il bagno.

Mentre l'acqua mi scorreva addosso iniziai a sentire una sensazione strana al petto, quasi come se un sentimento di dispiacere stesse dilagando dentro di me; forse avevo sbagliato il modo di dirlo ma era davvero quello che pensavo.

Non avevo bisogno di nessuno, avevo imparato a cavarmela da solo sotto ogni punto di vista e avevo capito che l'unica persona alla quale potevo affidarmi senza remore era proprio me stesso... Quella sera il tasso alcolemico nel mio sangue era più che alto e probabilmente era stato sufficiente per far abbassare quelle mura isolanti che avevo eretto.

Ma a preoccuparmi di più, nel ripensare a quella sera, fu il non aver avuto alcun tipo di attacco d'ansia ed era assolutamente impossibile: soffrivo di quegli attacchi d'ansia da almeno un anno e mai avevano saltato l'appuntamento quotidiano, ma alla fine mi convinsi che la responsabilità di tutto fosse da attribuire all'alcol, perché non poteva essere altrimenti.

AMNESIA [Zenzonelli-Amici21] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora