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Novembre 2011

Evan

Non pensavo di essere una di quelle persone, quelle che si agitano o cominciano ad angustiarsi dall'eventualità che il proprio migliore amico voglia appositamente ignorarmi o, peggio, possa star male senza che lo sappia.

Sono giorni che non ho notizie di Peter.

L'attesa inquieta e impensierisce anche l'animo più resistente.

Il moro gironzola nella mia vita e nella mia mente molto più a lungo di quanto voglia ammettere. Forse la rottura con Lisa lo ha turbato più di quello che mi sono immaginato.

Di fronte a me c'è ancora un foglio completamente bianco e spoglio, il quale invoca l'esplicita richiesta di comporre un brano sulla "convivenza con le proprie paure", è il compito che ci ha assegnato la docente di Letteratura inglese.

Una piccola abat jour illumina timidamente la mia scrivania di legno mentre continua a martellare la penna contro la sua superficie rigida, avvolto da mille pensieri. Sfido chiunque a non essere ossessionato dalla paura della solitudine.

Infastidito da questa consapevolezza devo ammettere la mia fragilità e mettermi a nudo. Perciò comincio a stendere il mio componimento: "Fin dalla notte dei tempi l'essere umano, un essere fragile per antonomasia, è alla continua ricerca dell'interdipendenza con gli altri che in molti casi sfocia nella dipendenza verso qualcun altro. L'uomo è un essere sociale, che agisce e vive all'interno di un contesto sociale. La solitudine rappresenta per lui una dimensione che angoscia e terrorizza. Essa è anche la mia più grande paura, cosciente del fatto di non essere l'unico ad avvertire un peso sul cuore meditando l'eventualità di ritrovarsi solo, un giorno, e di non essere compreso dal prossimo..." Improvvisamente mi interrompo e sospiro a fondo, prima di riprendere.

Sentirmi solo, la mia più grande paura. Nonostante ciò, mi sembra che nell'ultimo periodo dentro di me abiti una voragine che non mi permette di sentirmi libero, una personale prigionia che mi sono costruito con minuziosa premura, impedendomi di sentirmi pienamente me stesso con gli altri.

Un dubbio mi attanaglia l'anima, lasciandomi inerme e impossibilitato nello spezzare quelle catene che mi sono autoimposto. La notte questi pensieri mi vengono a cercare pretendendo di occupare la mente e interrompendo il mio sonno, neanche il letto è per me un giaciglio confortevole dove poter riposare.

Il display del cellulare attira la mia attenzione illuminandosi nella penombra della stanza.

Peter: Amico, scusami se sono sparito dalla circolazione. Ma dovevo occuparmi di alcune cose. Ora è tutto risolto, non preoccuparti.

È lui, quanto ho aspettato di avere sue notizie.

Però perché fa il vago?

Dovevo occuparmi di alcune cose. A cosa si riferisce?

Io: Ciao, finalmente. Stavo davvero venendo a cercarti... Cosa succede? Stai bene?

Peter: Se vuoi, ora mi trovo a casa...

È un invito implicito a raggiungerlo alla roulotte, forse è una sottile richiesta di aiuto. Lo conosco da così tanto tempo che in qualche modo capto subito se qualcosa non lo rende sereno.

La vita non è stata gentile con lui, questo fin da quando era solo un bambino, le sue fragilità e insicurezze sono semplicemente il frutto di ciò che il padre è stato in grado di plasmare attraverso la sua malvagità. La violenza crudele e meschina che quell'uomo infliggeva alla sua famiglia ha lacerato l'anima delicata e sensibile di Peter, rendendolo un ragazzo graffiato e soffocato dalla rabbia.

Me in Your AbsenceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora