38

140 30 74
                                    

Aprile 2012

Evan

La primavera californiana è come se fosse una stagione a parte, l'aria è calda e il vento soffia tra le fronde di alberi già secchi. Tutti eccetto uno, il platano della scuola.

Il sole mi solletica delicatamente il viso, i miei capelli chiari sono accarezzati dalla brezza pomeridiana. Ogni dettaglio di questa giornata è calmo e stranamente dolce, nonostante il subbuglio dovuto al recente avvenimento: l'uscita di prigione di Micheal.

Peter ed io siamo appoggiati al tronco e coperti dall'ombra del grande platano.

Siamo immobili e in silenzio per un tempo che mi sembra eterno, sto ripassando gli appunti per il test di matematica di domani e li giro, di volta in volta, al mio amico.

Stufo di studiare, sfrego gli occhi stanchi e decido di fare una pausa facendo riposare le palpebre. Distendo pian piano il corpo sull'erba, Peter se ne accorge e mi fa cenno di appoggiare il mio capo sulle sue gambe.

Con un gesto forse involontario inizia a giocare con i miei capelli. Respiro a fondo e provo a tenere sotto controllo l'agitazione che mi pervade il corpo. Provo a imprimere ogni sensazione che questo tenero gesto mi provoca.

Ho ancora gli occhi socchiusi e il corpo inerme, quando incombe su di noi un'ombra. «Ehi amico, non ne avevo idea... mi dispiace se siamo stati poco opportuni con te in questi anni!» Chi ha interrotto il mio riposo con una frase lasciata a metà?

Spalanco gli occhi e riconosco a chi appartiene, è Seth, il ragazzo con il quale, sia io che il mio amico, abbiamo più confidenza tra tutti i componenti della nostra squadra.

«Seth, a cosa ti riferisci?» risponde Peter.

«Volevo scusarmi, a nome della squadra, con Evan» continua, pensando fossimo a conoscenza dell'argomento.

«Cosa? Perché? Spiegati meglio...» lo incalzo.

«Dai amico, mi riferisco a quello di cui si sta chiacchierando oggi a scuola.» Niente, sembra un fottuto rebus!

«Cioè? Di cosa si sta parlando?» Mi sta scocciando sul serio.

«Ehi, non sono io che ho messo in giro queste voci... ma si dice che tu... Sì, insomma, che tu sia gay!» di colpo mi alzo sbigottito.

La gente parla di me? Chi può aver messo in circolo quelle voci?

«Non prendermi in giro, Seth.»

«Capitano te lo giuro. Oggi è sulla bocca di tutti! Sai che in questa dannata scuola nessuno si fa gli affari propri, per quello sono venuto da te, appena ho saputo!» quasi a volersi giustificare.

Ma io non riesce ad emettere un suono, insomma, il mio privato è stato spiattellato, così, senza alcun preavviso. Come possono saperlo gli altri, se faccio fatica ad ammetterlo io stesso?

M.a.l.e.d.e.t.t.i.

Che vadano tutti al diavolo, sempre a rompere le scatole, calpestando i sentimenti e violando la privacy del prossimo.

Peter prende parola, «Ora puoi pure tornare dal buco dal quale sei sbucato! Grazie.» lo congeda così, senza troppi giri di parole e con voce calcolata e fredda.

«Ehi, non prendetevela con me... insomma, io ho solo riportato quello che si dice in giro, pensavo lo sapeste già ed ero qui con le migliori intenzioni.»

Vuole per caso la nostra gratitudine per questo?

Prima che possa aggiungere altro, Peter fa un cenno con il viso che sarebbe stato meglio per lui allontanarsi da noi. È sorprendente come con semplici gesti o sguardi, lui sia in grado di incutere timore ed ottenere il rispetto da parte degli altri.

Me in Your AbsenceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora