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Marzo 2012

Evan

Dopo due giorni di completo silenzio e immerso nel suo dolore, finalmente Peter varca la soglia di casa Flaming, rivolge poche parole di circostanza a mamma e papà, preoccupati del ritorno di Micheal. Chi non lo è, d'altronde.

Saluta frettolosamente Matt. Kate non è ancora rientrata, non so come sia andata tra loro, è molto strano che non siano insieme.

Quando il mio migliore amico appare in camera nostra, il luogo che da diverse settimane è anche diventato il suo rifugio, il posto sicuro dal resto del mondo.

Chiude la porta e mi scruta con uno sguardo indecifrabile, mentre sono ancora disteso a letto con in mano la palla da Football.

I suoi occhi tristi si posano sui miei, non c'è bisogno di altre parole, annego in quel dolore e smetto di respirare.

Lui è qui.

Riconosco il grido di aiuto celato dietro.

Mi accosto al suo fisico longilineo e muscoloso, apro le braccia e lo avvolgo. Gli offro il calore di cui necessita per lasciarsi andare.

Non c'è bisogno di emettere alcun suono, nessuna parola potrebbe mai descrivere ciò che prova.

Lentamente sento i suoi muscoli distendersi, si lascia andare. Il suo capo affonda nelle mie spalle, sfiorandomi il collo.

Peter inizia a piangere cercando di soffocare i singhiozzi sul tessuto della mia maglietta, sono diversi anni che non accedeva, sono quasi sicuro che non si ricorda nemmeno come si fa.

Tento di tranquillizzarlo facendo movimenti circolare e lenti con il palmo della mano destra sulla sua schiena tremante.

«Risolveremo insieme. Ci sono qui io» sussurro, anche se l'ansia mi sta divorando da dentro.

«Calmati. Sei al sicuro qui.»

Quando i singhiozzi iniziano a farsi più radi, ci stendiamo sul letto. Peter appoggia la guancia sinistra sul mio petto.

Gli accarezzo a lungo i capelli e pian piano avverto rallentare il suo battito cardiaco così come anche il suo respiro. Tra le mie braccia e il sollevarsi regolare dei nostri petti, ci accoccoliamo insieme.

Chiudo gli occhi. Solo per qualche istante.

***

Aprile 2002

L'ennesimo giorno di scuola sta per cominciare e proprio non voglio sentire ragioni. Ogni giorno è il medesimo infermo e la colpa è sempre e solo sua.

«Mamma, ti prego. Ho mal di pancia. Per favore» la supplico ancora.

«Tesoro, ne abbiamo già parlato. Ieri avevi mal di testa e la scorsa settimana male ai denti. Perché non gli parli? Magari anche lui è stufo di questa situazione e fate finalmente pace. Poi chissà, magari potresti diventare amici.»

Amici, pff. La sola idea mi fa rabbrividire.

È folle.

«Tu non sai cosa mi tocca sopportare... ogni volta.

«Immagino, però potresti fare tu il primo passo.»

«Mmh...» non sono minimamente d'accordo. Rimango in silenzio per il resto del viaggio, finché non giungiamo nel luogo che più odio al mondo da diversi mesi a questa parte.

Da quando lui ha iniziato a frequentare la mia classe. I miei voti sono alti, sono uno dei migliori del mio corso, ma in quanto amicizie...

Me in Your AbsenceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora