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"Noi siamo il male minore che lotta contro il male maggiore... potremmo venire spezzati dallo stesso male che affronteremo, tuttavia, noi già siamo stati spezzati una volta, due e... ho perso il conto... quindi, tanto vale correre il rischio.
Non credete anche voi?"

Angeline

«Mi basti tu», mormorò Angeline, sorridendomi con aria di duello

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«Mi basti tu», mormorò Angeline, sorridendomi con aria di duello.

«Mi basta che sia soltanto tu a volermi morta, Orias».

La guardai e le dedicai uno sguardo torvo.

«Non tenterò di fottere né te, né l'intero COD».

La scrutai in volto, attento ad appurare la veridicità di quelle sue parole.
Era sincera?
Oppure era solo un'altra menzogna?

«Io e Angelina siamo il male. Voi siete il male. E unendoci formiamo un male ancora più pericoloso. Noi siamo il male minore che lotta contro il male maggiore... potremmo venire spezzati dallo stesso male che affronteremo, tuttavia, noi già siamo stati spezzati una volta, due e... ho perso il conto... quindi, tanto vale correre il rischio. Non credete anche voi?».

Aveva senso.
Anch'io avevo perso il conto delle volte in cui mi si era spezzato qualcosa dentro di me.
Di quante volte mi avevano strappato qualcosa che per me era fondamentale.
Di tutte quelle privazioni, di tutto quello di cui necessitavo per vivere, e non sopravvivere.

C'era differenza tra il vivere e il sopravvivere, anche se, molto spesso, ignoravamo quale fosse la differenza.
Talvolta, ignoravamo anche che ci sia, una differenza.
Però c'era. Ed era una differenza concreta e reale.
Oserei dire che fosse di nodale importanza.
Con il passare degli anni, dei decenni, dei secoli... questa differenza mi era divenuta chiara.
Ed era incredibile come prima, secoli fa, ignoravo della sua definizione e della sua esistenza.
Pensavo che vivere e sopravvivere fossero la stessa cosa.
Sbagliavo, eccome se sbagliavo.

«Una volta in più, una in meno... per me non fa differenza. Io sono disposto a tutto pur di recuperare la bambolina umana», puntalizzò Cassian, deciso e intenzionato a salvarla.

Sarei stato io a salvarla.
Sarei stato io quello che lei avrebbe ringraziato.
Sarei stato io, quello che lei avrebbe abbracciato, baciato e amato.
Io e soltanto io.

Se mai avesse smesso di amarmi, mi sarebbe sembrato di morire, di nuovo, più dolorosamente.

«Sono d'accordo. Adesso mettiamoci all'opera», ordinai.

Avrei dovuto liberarla?

«Angeline... vuoi essere liberata?», domandai, sorridendogli provocatorio.
Lei mi guardò sbilenca, timorosa e guardinga al tempo stesso.

«Sì, ovvio che voglio», affermò con un tono ovvio.

«Allora bisogna fare un compromesso... io ti libero, però, ti inietterò una microparticella del mio potere oscuro. Dovresti conoscere questo potere, no?».

Era lo stesso che avevo usato su Solas, alla festa, eseguendo gli ordini della piccola Army.

«Cosi potrai farmi fuori quando più ne avrai voglia», realizzò.

«Non mi fido di te, come tu non ti fidi di me. Mi sembra un equo compromesso. La libertà in cambio della tua... fedeltà. Al COD e alle tue parole».

Suadente, parlai, e la guardai mentre si arrovellava sulla scelta migliore da prendere.

«E la mia fedeltà a te e ad Angelina sta nel fatto che non ti ucciderò, nonostante io abbia il potere di farlo. Nonostante io possa schiacciarti proprio come gli umani schiacchiano una fastidiosa zanzara. Tu sei una fastidiosa zanzara per me, Angeline».

La istigai e la insultai.
Per quello che mi aveva fatto, si meritava la morte. Ero fin troppo comprensivo.

«Sei...», mormorò flebile. Si interruppe.

«Cosa? Uno stronzo?», la derisi, finendo al posto suo.

«Sì».

Scoppiai in una sonora risata.

«Oh, Angeline... mi hanno detto cose ben peggiori in tutti questi secoli... sforzati di più», la ridicolizzai.

«Ora, dimmi: accetti o no il compromesso?», insistetti, seccato.

Lei alzò lo sguardo, insieme al viso che aveva abbassato imbarazzata e innervosita.

«Accetto».

Restai sorpreso, aveva realmente accettato e mi stava donando la sua vita come fosse un fiore colto in un giardino due secondi fa.

Potevo farla fuori, se mi aggradava.
Senza sforzi. E lei aveva accettato.

«Ottimo».

Mi concentrai e feci unire il mio potere oscuro per creare quello che mi serviva. Un solo tentacolo. Creai un tentacolo oscuro, esso passò attraverso le sbarre, e avvolse Angeline in una morsa che sarebbe stata in grado di ammazzarla senza problemi, se avessi voluto stringere di più.
La stritolai, per appagare quel senso di vendetta che bramavo fin troppo.
Divenne violacea la sua pelle.
Boccheggiò e mormorò parole incomprensibili.
Allentai la presa e rilasciai quello che io definivo veleno.

Dopo averle iniettato una microparticella del mio potere, la lasciai rovinare al suolo della cella.
Arrancò con il respiro ansante.
Si portò una mano al petto, dove si trovava il suo cuore che aveva cessato di battere da secoli.
Forse per istinto, forse perché si era spaventata.

«Tu... tu vuoi proprio uccidermi, vero, Orias?», domandò, la voce flebile e scossa.

«Non immagini quanto vorrei strangolarti, quanto vorrei farti male, molto male... e quanto mi farebbe stare meglio porre fine alla tua vita», ammisi.

«Però, non lo farò. Sono un uomo di parola. Un patto è un patto», precisai.

Respirò affannatamente, tentando di abituarsi alla microparticella. Ogni persona reagiva diversamente, tuttavia cambiava poco e nulla.

«Sappi che d'ora in poi, ogni tua mossa avrà delle conseguenze. Ogni tua bugia ti porterà a stare male, molto male, Angeline».

Wicked or GodsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora