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"Il mio corpo, paradossalmente, lo conosceva più lui di me."

Armony Roses

Armony Roses

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Smarrimento.

Idiozia, era quello che avevo appena permesso accadesse. Un grande sbaglio commesso in un attimo di smarrimento. Orias mi mandava il cervello in pappa e poi ne assumeva il comando. Odiavo come mi guardasse, come mi facesse sentire bella e desiderata, viva e rovente, perché poi non riuscivo a farne a meno. Lui era... un esplosione catastrofica di vita e morte che si fondevano insieme a meraviglia, per poi iniettarsi nelle vene come la peggior droga, creando una dipendenza invalicabile.

Terremoto.

Nel mio corpo era in corso un terremoto, che si espandeva a macchia d'olio permeando anche la mia mente e il mio cuore che sembrava sul punto di scoppiare. Ero... ero pronta a precipitare nelle voragini che si sarebbero aperte.

Ero pronta a tutto, tranne che a lui.

«Io non...», provai a dire qualcosa, ma le parole mi morivano in bocca, senza riuscire a estrapolare una frase con un senso logico.

«Tu non?», chiese Orias, in interrogativo, aspettando una mia risposta.

«Lascia stare...», mormorai, tentennante, «devo andare...», sbiascicai, «subito, devo andarmene subito da qui».

Mi allontanai svelta, come se sotto i piedi avessi dei ciottoli incandescenti. L'agitazione montava nelle mie vene propagandosi in ogni antro del mio corpo. Mi chinai svelta a raccogliere il mio vestito, poi senza neppure perdere tempo a infilarmelo mi fiondai fuori dalla stanza di Orias, ignorando le sue parole che tentavano di persuadermi a restare con lui. Orias mi seguii uscendo dalla sua camera, ma non mi fermai né guardai indietro, facendomi avanti con tanta rabbia rivolta a me stessa, percorrendo il corridoio fosco che era così familiare da farmi male.

«Armony, aspetta!», esclamò Orias, la voce pregna di dolore e delusione.
Non mi voltai a guardarlo, sapevo che se lo avessi guardato non sarei riuscita ad andarmene. I suoi occhi erano la mia prigionia, mi incatenavano a sé, trascinandomi sempre più vicino all'inferno e alle sue fiamme roventi.

«Ti prego, Armony... aspetta!», continuò imperterrito. Sentii le lacrime imbandirmi lo sguardo, e tentai di non sbattere le palpebre, cercando di non perdere il controllo e di non scoppiare in un pianto indesiderato davanti a lui.

«Ti prego, Armony... ti sto pregando, dannazione! Non ho mai pregato nessuno quanto sto pregando te! Ti prego, fermati, parlami, te lo chiedo per favore, non andartene...», pregò, supplichevole, la voce fievole e colma di rabbia, sofferenza ed esasperazione.

Il suo sguardo era fisso su di me, sul mio corpo. Riuscivo a sentirlo, a percepirlo. E di conseguenza, il mio maledetto corpo, come risposta al suo sguardo su ogni scorcio di pelle ben visibile, decise di prendere fuoco ed espandere una coltre di brividi in ogni antro della mia figura.

Wicked or GodsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora