- prologo - pieces of the past

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Il passato ci ha resi ciò che siamo, ma non può stabilire chi diventeremo

Hell and Heaven - pieces of the past 

" Caro diario,cosa mi sta succedendo ? Non credo nell'amore e in nessun dio. Diffido persino della storia, insomma, non credo in niente che non sia sotto ai miei occhi, però c' é qualcosa che non va, sento delle strane presenze che mi aleggiano sempre intorno"

Allison Blooms staccò la penna e sospirò mentre si spostava dietro all'orecchio un lungo boccolo biondo che le era finito sul viso solleticandole la guancia. Fissò per qualche momento il pavimentobianco e lucido del Willson Hospital con aria assente mentre si ciondolava sulla seggiolina azzurra su cui era seduta da ormai due ore. Finalmente la porta davanti a lei si aprì e ne uscì un dottore di mezz'età, alto e allampanato con indosso un lungo camice  bianco e un paio di occhiali spessi come fondi di bottiglia. << Signorina Blooms? >> La ragazza trasalì e dovette battere tre volte le palpebre prima di tornare del tutto alla realtà. Il medico le fece cenno di entrare, così si alzò lentamente, aveva legambe davvero indolenzite, poi si passò una mano sulla canotierina giallo limone che indossava per stirare le pieghe che si erano formate e finì per caderle lo sguardo sul diario che teneva ancora aperto e appoggiato al petto; tirò una croce su quello che aveva appena scritto pensando: "scemenze", poi lo chiuse e si decise ad entrare nella stanza.  Era piccola e troppo calda come ogni camera d' ospedale che si rispettasse e decisamente mal arredata: un letto che dava l'idea di essere troppo morbido vicino alquale era posta una seggiolina simile a quelle delle scuole, una piccola televisione a schermo piatto appesa al muro, un armadio di lamina bianca ad una sola anta e una minuscola finestra ben coperta da una spessa tenda anch'essa del medesimo colore. In più c'era quel puzzo causatodalla mescolanza degli odori dei disinfettanti, delle medicine e delle garze che le faceva girare la testa e pulsare le tempie. Allison odiava gli ospedali, beh certo, e a chi piacevano? Ma a lei davano una grande sensazione di inquietudine che le faceva salire un groppo alla gola, come se avesse ingoiato una pallina da tennis. << Le ustioni sono abbastanza gravi ma se la caverà >> disse pacatamente l'uomo indicando Margaret, laquale giaceva sul letto completamente bendata e collegata ad una flebo. << Tuo padre é arrivato? >> le chiese mantenendo un tono di voce molto tranquillo. << No, Edward era a San Francisco per lavoro, quindi ci metterà ancora un po' a venire >> la sua voce ebbe un lieve tremito, quelli non erano i suoi veri genitori quindi preferiva che venissero chiamati per nome e non "tuo padre" o "tua madre" come era appena successo, ma ormai ci aveva fatto l'abitudine, dato che solo in pochi erano a conoscenza della verità; la ragazza era stata adottata sei anni addietro, quando ne aveva quasi tredici. Di come fosse la sua vita prima o dei suoi genitori biologici non sapeva nulla, aveva perduto ogni ricordo per colpa di una commozione cerebrale causata dall'incidente stradale in cui i suoi genitori erano morti. Le prime cose di cui aveva memoria erano una camera d'ospedale simile a quella in cui si trovava in quel momento, un paio di tubicini che le spenzolavano dalle braccia e una serie di medici e infermieri che andavano avanti e indietro. Forse era per quella ragione cheodiava le cliniche. I Blooms all'epoca erano una coppia più che benestante sui trent'anni che non poteva avere figli e per questa ragione furono molto felici di adottarla. Edward era a capo di una grande ditta di costruzioni mentre Margaret era a capo di uno studio legale...<< Per caso...sai com'é successo? >> chiese con cautela come se avesse paura di toccare un tasto dolente. Lei si strinse nelle spalle, aveva ben pensato a che cosa rispondere a quella domandadurante l'attesa. << Avevamo pranzato da poco e io ero appena uscita, poi mi sono ricordata di avere lasciato il telefono sul tavolo della cucina ,così ho fatto inversione e quando sono arrivata la casa stava già andando a fuoco >>. L' uomo le appoggiò una mano sulla spalla con l'intenzione di consolarla, nessuno poteva aspettarsi che una ragazzina di diciott'anni con degli occhi grandi e azzurri come I suoi potesse mentire così bene. Non era stata Allison ad appiccare l'incendio, ma non ricordava cosa fosse successo e nemmeno come fosse arrivata all'ospedale, ma non lo avrebbe mai ammesso; avolte le capitava di ritrovarsi in alcuni posti senzaricordare di esserci andata, credeva che la sua memoria avesse ancora qualche problema e aveva deciso di non farne parola ad anima vivaper paura di dover fare altri esami o di essere addirittura ricoverata con degli elettrodi appiccicati alla testa, il sol pensiero le faceva venire la pelle d'oca. Si avvicinò con passo felpato al letto, Margaret conciata in quel modo sembrava una mummia. Si sentì a disagio a guardarla, così abbassò subito lo sguardo sulle ballerine nere di pelle che le facevano sempre un caldo tremendo, ma che metteva spesso perché erano di moda. La donna aprì lentamente gli occhi e sembrò terrorizzata dalla vista della figliaadottiva ed iniziò a mugulare e a dimenarsi costringendola ad uscire. Allison rimase per un po' davanti alla porta a cercare in vano di capire il motivo di quella reazione, in genere tendevano ad ignorarsi a vicenda. Frugò in una delle tasche anteriori dei jeans bianchi per tirare fuori una caramella che dovette subito sputare perché era mezza sciolta e aveva un sapore pessimo. << Ally, ho fatto prima che ho potuto >> un uomo alto e piuttosto snello con I capelli bruni che indossava un completo grigio elegante con una cravatta blu le appoggiò una mano sul braccio. Lei si voltò e lo abbracciò. come al solito Edward odorava di tabacco e mentine, un mix dall'odore un po' pungente ma gradevole. Gliindicò la stanza e spiegò quello che era successo quando era entrata lei, ragione per cui non lo seguì quando varcò la soglia. Il corridoio era deserto, solo qualche infermiera passava di tanto in tanto; dopo poco decise di uscire dato che il suo cellulare nuovo di zecca non aveva segnale lìdentro. Prese l'ascensore insieme ad una donna anziana con un deambulatore accompagnata daun ragazzo che era probabilmente o il figlio o il nipote, oltrepassò la hall con passo rapido e raggiunse il cortile interno. Digitò rapidamente un numero e chiamò << hey Liz, dove diamine sei? >> rispose una voce parecchio scocciata. La chiamavano tutti in modi diversi ma questo non la infastidiva, anzi non le importava proprio << sono in ospedale >> << eh? >> fece Sara cambiando subito tono. Sara Hosting era la migliore amica di Allison  da quando era arrivata a Sunset Ville e anche l'unica persona a conoscenza delle verità in quanto alla sua famiglia. A volte non riusciva a spiegarsi come facessero ad andare d'accordo, certo Sara era disponibile e simpatica, ma era troppo noiosa e sipreoccupava sempre per tutto in maniera eccessiva... perbenista, ecco la definizione che lecalzava a pennello, era quella sorta di fastidioso angioletto che le stava appollaiato sulla spalla e che la convinceva sempre a fare la cosa giusta; come quell'inverno quando voleva saltare la scuola per andare in settimana bianca e lei l'aveva convinta a non farlo, o come quando la obbligava a studiare o la volta quando, alsecondo anno, aveva deciso di tagliare le gommedell'auto dell'odiosa preside dopo che l'aveva messa in punizione per averla trovata nello sgabuzzino della scuola con il quaterback della squadra di football e l'aveva trascinata via dal parcheggio quasi di peso. Quel pomeriggio sarebbero dovute andare al centro commerciale per comprare i vestiti per il ballo di fine anno che si sarebbe tenuto una settimana e mezzo dopo. Ad Allison non piacevano gli eventi scolastici, preferiva le feste selvagge ed esclusiveche i ragazzi organizzavano quando i genitori non erano a casa a cui lei veniva sempre invitata dato che aveva ormai acquisito il titolo di ragazzapiú bella e la piú popolare della cittá, ma quello era l'ultimo anno alla Californian Academy per entrambe e Sara era addirittura la presidentessa del comitato di organizzazione, quindi non avevascelta. << Liz, ci sei ancora? >> << sí, sí >> mugugnó calciando un sassolino bianco mentre camminava avanti e indietro sotto i grandi alberi  che costeggiavano il vialetto ghiaioso. << Cos'é successo? >> << Un incidente domestico, Margaret si ha riportato diverse ustioni >> definirlo incidente era un po' come mentire dato che non poteva sapere se si era trattato davvero diun inconveniente o meno. << Oh >> mormoró con un tono piú preoccupato di quanto l'amica si aspettasse << quindi é scoppiato un incendio a casa tua? >> Chiese con una certa esitazione. << Sí...>>  avrebbe voluto aggiungere un bel "no, guarda si é ustionata passando lo straccio" ma si trattenne, all'amica non era mai piaciuto il suo sarcasmo. << Tu dov'eri? >> chiese tutto d 'un fiato. Allison esitó un istante, come se sentisse il bisogno di dire a qualcuno la verità, come se non riuscisse più a tenerselo dentro, avrebbe voluto urlare "non me lo ricordo"ma sapeva bene che si sarebbe preoccupata e sarebbe corsa a dirlo a Edward, così pronunciò lasua frase fatta del giorno: << fuori, sto bene >>. 

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Ci fu un attimo di silenzio prima che Sara borbottasse un << ora devo fare una cosa, scusami Liz, poi fammi sapere come sta >> e riagganciò di colpo, non si era mai comportata Inquel modo. << Pronto? Sara?! >> allontanò il cellulare dall'orecchio e lesse sul display la scritta "chiamata terminata", lo ficcò a malo modo nella borsa color rosa antico e riprese a calciare i sassolini sbuffando poi si sedette su unapiccola panchina di legno sotto a un maestoso pino e riprese il suo diario. Voleva scrivere qualcosa, ma le parole non le uscivano, non riusciva a mettere su carta nessuno dei pensieri che le correva per la testa. Di colpo divenne tutto nero e sentì due mani appoggiarsi davanti ai suoi occhi; c'era solo una persona che faceva ancora quei giochetti così infantili e fastidiosi << indovina chi sono e vinci un bacio >> sapeva benissimo di chi si trattava, Ben Wathson.Ben era un ragazzo del suo stesso corso di letteratura inglese, ricco, quoziente intellettivo pari a quello di una nocciolina,  popolare, capelli biondastri, occhi azzurri e fisico ben scolpito dal football che praticava da chissene frega di quanto. Era il tipico ragazzo californiano idiota che dava feste fantastiche e con cui Allison usciva per un semestre per poi stancarsi e piantarlo, il problema era che di solito I suoi ex capivano di essere ex e la lasciavano in pace ma lui forse era più romantico degli altri o magari solo più rompiscatole o convinto che il ragazzo e la ragazza più popolari della scuola fossero destinati a stare insieme per sempre, chissà. A sentir Sara era stato un errore lasciarlo... "ma perché non gli dai una seconda occasione? É cosìdolce e carino..." le ripeteva regolarmente facendola rispondere con il tono di voce scocciato che di solito riservava solo agli insegnati o agli sfigati rompiscatole "e allora se tipiace tanto escici tu!". "Che scocciatura " pensòmentre gli abbassava bruscamente le mani. << Che ci fai nel cortile dell' ospedale? >> le chiese senza mostrarsi minimamente scoraggiato da quel gesto. Sospirò infastidita prima di rispondere << mia madre ha avuto un incidente, lasciami sola >> dire "mia madre" le costò il solito groppo alla gola al quale forse non avrebbemai fatto l'abitudine. << Ti vado a prendere qualcosa da mangiare alle macchinette della hall, aspettami qui >> alzò gli occhi al cielo e riamase afissare la pagina bianca mordicchiandosi il labbroinferiore, poi si voltò verso l'ala dove si trovavano i Blooms e infine si decise ad appuntare la sola farse che le era appena passata per la testa con la sua calligrafia chiara e tondeggiante. 

"Appena mi diplomo giuro che scappo dall'altra parte del paese"

Poi mise diario e penna in borsa e si avviò con passo deciso verso il parcheggio. 

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