CAPITOLO QUARTO - parte 2

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-Avevi dodici anni quando hai conosciuto Toby- iniziò a spiegare Marlene, mentre girava lo zucchero nella tazzina del caffè. - Era un ragazzino anche lui a quel tempo, e stavate spesso insieme nel pomeriggio, dopo la scuola. Lui abitava a pochi isolati da quì- disse.
Natya ascoltava, sforzandosi di ricordare anche solo il suo volto, ma nella sua mente vi era il vuoto totale. Aveva l'impressione di ascoltare la storia di qualcun'altro, un racconto in cui lei non c'entrava nulla.
-Non mi è mai piaciuto particolarmente quel ragazzino, perché aveva un aria cupa e strana- intervenne Pietro con uno strano tono di astio - Ma non mi sono mai intromesso dal momento che era il tuo unico amico... Come sai, hai sempre avuto difficoltà nei rapporti con gli altri, e non avremmo mai voluto rovinare l'unica amicizia che eri riuscita a stringere-.
L'uomo accennò un sorriso come tentasse di rassicurare la figlia. - Aveva spesso dei tic alla testa, sinceramente non ho neanche la certezza che fosse sano di mente al cento per cento..-.
Gli occhi di Natya si spostarono sul volto della madre, che stava cercando di nascondere con la mano le lacrime che scivolavano sul suo viso.
-Ad ogni modo, eravate grandi amici. Veniva spesso a casa nostra, al tempo io e mamma stavamo ancora insieme. Per Marlene, dopo quattro anni, era diventato quasi come un secondo figlio, e anche io gli volevo molto bene -.
-Poi cosa è successo?- domandò Natya, sporgendosi in avanti ed appoggiandosi con i gomiti sul tavolo.
-Poi un giorno... È accaduta una brutta cosa?- continuò a spiegarle il padre. -Un giorno... Non so cosa sia successo di preciso, ma pare che Toby abbia completamente perso il senno ed abbia sterminato la sua famiglia-. Si interruppe per un istante, prese fiato. - Subito dopo aver fatto quella carneficina si è presentato a casa nostra, coperto di sangue e con due accette in mano. Io ero a lavoro, così Toby trovò in casa soltanto te e la mamma. Marlene dapprima ha pensato che fosse in pericolo, ed ha cercato di aiutarlo. Ma lui l'ha ferita...-. A quel punto si voltò verso la ex moglie. - Falle vedere, Marlene- esclamò.
-Non mi sembra il caso- disse lei, scuotendo la testa.
-Fammi vedere mamma- intervenne Natya, con la voce che aveva iniziato a tremare. - Voglio sapere tutto-.
La donna, con movimenti lenti ed insicuri, sollevò la maglietta scoprendo una enorme cicatrice che portava sulla pancia. Uno spesso segno biancastro che scendeva giù fino all'inguine, ai lati del quale erano ancora visibili i segni della sutura.
Subito la mente di Natya iniziò ad addossare ragionamenti e pensieri l'uno sull'altro; emozioni e dolori si intrecciavano in un terribile caos.
"Ecco perché mamma non si è mai spogliata davanti a me"
"Ma quanto doveva essere stata profonda quella ferita?"
"La cicatrice è enorme, non riesco a guardarla"
"Ma perché, perché continuo a non ricordarmi nulla di Toby?".
-Natya- la chiamò all'attenzione il padre, vedendola distratta. -So che è difficile per te scoprire solo adesso tutto questo, ora capisci perché ti abbiamo tenuta all'oscuro per tutto questo tempo?-.
-Cosa è successo dopo?- chiese la ragazza, ignorando la domanda del padre.
-Quel pazzo ha lasciato tua madre per terra, ferita, e si è diretto nella tua stanza- continuò. Ti avrebbe sicuramente uccisa, ma grazie al cielo sono arrivato io...-. Quell'ultima parte di racconto risvegliò un ricordo nella mente confusa della ragazza. Era quasi certa di aver visto un ragazzo entrare furioso nella sua stanza, pieno di sangue... Ma niente piú di questo.
Si soffermò ancora una volta su quel nome.
"Toby".
Come un fulmine a ciel sereno, tutto ciò che era contenuto nella parte inconscia della sua mente tornò a galla. Mille ricordi, mille emozioni riempiono il suo cervello dolorosamente ed inesorabilmente apparendo uno alla volta.
Toby.
Toby.
Adesso ricordava il volto del sul migliore amico. I suoi lineamenti morbidi, gli occhi profondi. Quel suo modo strano di fare, i movimenti involontari che lo costringevano a muovere il collo in improvvisi tic nervosi.
Era sempre stato strano in tutto, soffriva anche di un disturbo che gli impediva di provare dolore fisico; gliene aveva parlato più volte.
Una desolazione insopportabile attanagliò la sua testa, mente una valanga di ricordi si accendevano come tante piccole lampadine. Sentí il sangue ghiacciarsi nelle vene, il cuore mancare un paio di battiti.
-Lui... sta bene?- domandò la ragazza, impulsivamente.
-L'ho fermato come ho potuto, Natya. Ero arrabbiato e spaventato quindi non gli ho di certo fatto carezze... È vivo, comunque, e credo stia bene. Si trova nell'ospedale F.Montetoni, nel reparto psichiatrico-.
Questa fu l'ultima frase che Natya riuscì ad ascoltare, prima che la sua testa iniziò a girare vertiginosamente. Le forze la abbandonarono all'improvviso, cadde a terra come un corpo morto, sbattendo la testa sul pavimento. Chiuse gli occhi, poi soltanto nero.

Ticci Toby - P. 116 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora