CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO - parte 1

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Pietro spalancò gli occhi, in una espressione delusa e sorpresa allo stesso tempo. Sua figlia non si era mai permessa di parlargli in quel modo, e questa non era che un'altra prova del fatto che Toby l'aveva cambiata. In peggio.
Natya aveva ricevuto fin da piccola una certa educazione: lui e Marlene avevano cresciuto una figlia gentile ed educata.
Ed ora, come aveva potuto parlare a suo padre con quel tono maleducato?
Pietro corrugò la fronte; stava per dire qualcosa, ma proprio in quel momento entrò in camera Marlene.
-Natya, tesoro..- ballbettò -Non siamo stati noi a mandare via Toby, te lo posso garantire. Ha preso da solo questa decisione-.
Natya abbassò lo sguardo, puntandolo sui fiori disegnati sulla coperta, e restò in silenzio.
-Ci ha chiesto di dirti addio da parte sua- concluse.
La ragazza non disse nulla nemmeno questa volta. Si sentiva talmente distrutta da non avere nemmeno più la forza di parlare. Avrebbe voluto piangere, urlare, distruggere tutto quello che aveva a portata di mano, ma non riuscì a fare niente.
-Posso stare sola?- disse soltanto, con un filo di voce.
Suo padre si avvicinò e le accarezzò la testa dolcemente, ignorando la rabbia che gli aveva scaturito il comportamento della figlia; e le disse: -Certo, prenditi il tempo che ti serve-.
Pietro e Marlene uscirono dalla stanza lanciandole un ultimo caloroso sorriso, e chiusero la porta.
Rimasta sola in quella stanza silenziosa, che nonostante fosse da sempre la sua adesso le sembrava completamente sconosciuta, Natya iniziò a piangere.
Si portò le mani davanti agli occhi, e le sue spalle si strinsero.
Perché?
Perché era dovuto accadere?
Perché Toby se n'era andato?
Perché?
Tutto questo non era giusto. Si chiedeva dove fosse lui adesso, e soprattutto se stesse bene.
La risposta, purtroppo, le era più che chiara: No. Non stava bene. Non poteva stare bene.
Scansò lentamente le coperte scoprendo il corpo magro e pieno di lividi e fasciature, e si sollevò con estrema fatica poggiando i piedi a terra. Dovette stringere i denti per mettersi in piedi, e ancor di più per camminare. Provò a fare qualche passo, e anche se dovette supportare un dolore lancinante, riuscì a percorrere tutta la stanza.
Poteva camminare.
Tornò a sdraiarsi tirando un sospiro di sollievo, ed affondò la testa nel cuscino.
Quella notte, mentre sua madre dormiva, sarebbe uscita a cercare Toby.

...

Toby camminava barcollante. Era completamente incapace di ragionare, ed aveva la vista appannata dalle lacrime.
Giunse per caso nelle vicinanze della casa abbandonata che aveva usato come rifugio, ed approfittò per entrare e recuperare le sue cose.
Aprì la porta appoggiandovisi con la spalla, e stupidamente quasi cadde a terra. Si dondolò fino al tavolo su cui aveva riposto le sue accette, ma prima di raggiungerlo le sue gambe smisero di dargli ascolto e cadde a terra sbattendo la spalla destra. Sollevò la schiena e si appoggiò ad un piede del tavolo di legno; rannicchiandosi su sé stesso, tornò a piangere.
La disperazione lo avvolse, costringendolo a singhiozzare come un bambino in quella casa vuota che ormai aveva vissuto troppi anni.
Cosa ne avrebbe fatto della sua vita adesso?

Ticci Toby - P. 116 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora