CAPITOLO VENTESIMO - parte 1

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La porta si aprì bruscamente, non più di un quarto d'ora dopo la chiamata di Marlene. Entrò Pietro, con la fronte unta di sudore ed il fiato corto.
Si guardò intorno confuso, per poi correre nel corridoio e fiondarsi in camera di Natya.
Lì, trovò sua moglie ancora in lacrime che lo accolse con un cenno del capo, indicandogli subito dopo la ragazza distesa sul letto. Aveva chiuso gli occhi, e nonostante i ripetuti tentativi da parte di Toby di farla svegliare, sembrava avere ormai perso del tutto i sensi.
L'uomo guardò con gli occhi sbarrati il corpo di sua figlia: i vestiti strappati e tinti di sangue, la ferita sulla spalla stretta in uno straccio, il volto sudato. Non riusciva a crederci, ma che cosa era accaduto? E perché si trovava a casa e non in ospedale?
Spostò gli occhi su Toby, seduto sul letto accanto a lui, a  guardarla fisso con aria infinitamente preoccupata.
Un'ondata di rabbia si avventò sul sul corpo dell'uomo; sentì il sangue pompare più forte nelle sue vene e gli arti iniziate a tremare, sentì che non avrebbe potuto trattenersi adesso. Dopo tutto questo.
Dopo quegli ultimi tre anni d'inferno.
Dopo aver ferito sua moglie e causato il suo divorzio.
Adesso quel bastardo aveva fatto del male alla sua bambina.
Senza alcun preavviso saltò in avanti, puntando dritto sul ragazzo con i pugni stretti, bramoso di vendetta.
Il ragazzo si voltò rapidamente verso di lui, e capendo che Piero intendeva aggredirlo non fece altro che alzarsi in piedi ed allontanarsi dal letto ove Natya era distesa, per non rischiare che venisse coinvolta.
L'uomo lo afferrò saldamente alla gola, sbattendolo violentemente contro al muro per poi bloccarlo lì. Avere quel bastardo tra le mani adesso, dopo tutti quegli anni passati ad odiarlo, fu impagabile.
Liberò il collo del ragazzo, ma solo per assegnargli un numero imprecisato di pugni sulla pancia, poi iniziò a colpirlo anche con i gomiti fino a farlo sputare sangue. Toby, immobile, teneva lo sguardo basso e non diceva una sola parola.
-Piero!- gridò Marlene che stava assistendo a quell'orribile scena. Perché stava perdendo tempo in quel modo, anziché occuparsi di sua figlia?
-Sei un bastardo, l'ho sempre saputo- ghignò l'uomo, che continua a scatenare tutta la sua rabbia repressa su Toby.
Ma lui ancora non si muoveva. Non gli importava.
Sapeva perfettamente il motivo per il quale era così tanto odiato, e lo riteneva giusto.
-Vuoi fare il gradasso perché non senti dolore, eh?- sbottò Piero afferrando di nuovo collo del ragazzo con entrambe le mani -Adesso ti ammazzo-.
Marlene a quel punto finalmente intervenne, strattonando la maglietta del marito con un grido disperato. -Smettila! Maledizione smettila! -. Riprese a piangere come una fontana. - Sei quì per Natya o no?! -.
L'uomo si bloccò di colpo, puntando i suoi occhi in quelli di Toby, ed allentando leggermente la presa sul suo collo.
Il ragazzo riprese fiato, e finalmente riuscì a parlare: -Ammazzami, fai quello che vuoi- disse con un filo di voce -Ma ti prego, aiuta Natya-.
Calò il silenzio per diversi secondi, poi Piero indietreggiò.
-Stai pur tranquillo che ti ammazzerò- disse, puntando l'indice contro di lui con aria minacciosa.
In quell'istante la porta d'ingresso si aprì ancora in modo improvviso, ed entrò frettolosamente la dottoressa. Stringeva nella mano destra una valigetta, e lanciava nervosamente lo sguardo quà e là.
-Infondo al corridoio!- gridò Marlene singhiozzando.
La donna corse fino a raggiungere la stanza, ed entrando trovò i genitori di Natya accanto al letto, su cui era distesa la ragazza. Toby era ancora in piedi contro al muro, ed il suo sguardo era spento, vuoto; un rivolo di sangue fuoriusciva dalle sue labbra strette.
-Cosa è successo?- chiese la donna sistemando rapidamente la valigetta sul comodino, e iniziando a osservare con fretta e preoccupazione il corpo della ragazza.
-Non non lo sappiamo ma..- ballettò Marlene, prima di interrompersi e cadere nuovamente in lacrime.
Il medico sfilò la maglietta della giovane, ed osservò con cura ogni centimetro di pelle ferita.
-Va portata in pronto soccorso- disse voltandosi verso Marlene.
-No, noi... Non possiamo-.
-È la cosa migliore, io non ho i macchinari per le radiografie. Non posso dire con certezza che non abbia ossa rotte-.
-La prego dottoressa, faccia tutto quello che è in suo potere, la prego... Ci conosciamo da tanti anni- insistette Marlene, disperata.
-Io ci rischio la carriera, signora Rods... Devo chiamare il 911, è la prassi-.
-La prego... La prego... La pagheremo-. La povera donna  parlava tirandosi i capelli con le mani, come volesse strapparli. Non era mai stata spaventata e nervosa come in quel momento in tutta la sua vita.
-Si calmi, si calmi. Farò ciò che posso- disse infine la dottoressa, seppur confusa da quella situazione così strana e sospettosa.
Per prima cosa somministrò un potente calmante alla ragazza, per evitare che si risvegliasse, e controllò interamente il suo corpo, valutando che era improbabile che ci fossero ossa rotte; poi aprì la valigetta ed estrasse pinze, disinfettanti, fasce, siringhe ed un sacco di altre cose.
-Ha perso molto sangue- disse. -Le somministro dei liquidi per farle recuperare alcune sostanze perse-.
Bucò il suo braccio con un ago e le somministrò un'intera siringa di liquido trasparente. Poi intervenne sulla ferita alla spalla, che sembrava la più grave.
Lavò via il sangue e disinfettò a fondo. Si occupò anche delle alte ferite, con movimenti abili e calcolati.
Lavorò per circa mezz'ora, emettendo di tanto in tanto sussurri di disapprovazione, sotto gli sguardi attenti e preoccupati degli altri tre.
-Ho fatto tutto quello che potevo- concluse - Non mi sembra ci siano fratture, ma è difficile dirlo con certezza senza una radiografia... Vi ripeto che io, se fosse mia figlia, la porterei in ospedale-.
Marlene sospirò, stringendo la mano molle della figlia. Solo adesso iniziava a calmarsi; aveva avuto così tanta paura...
-Ha perso molto sangue, signora Rods. Ma direi che è fuori pericolo-.

Ticci Toby - P. 116 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora