Roma - Sezze

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L'accendino pesa nella tasca come mille macigni, mentre passo dopo passo percorre il corridoio del piano che gli è stato assegnato. Le mura sono dipinte per metà di verde e per metà di bianco, alcuni cartelloni e bacheche decorano la zona dell'atrio centrale, mentre i corridoi sono spogli, vuoti.

Ce starebbero bene dei murales, però.

Come quelli che ha insistito per far dipingere al suo liceo, pochi mesi prima di diplomarsi. Vedere quei colori ogni mattina – anche se per poco – l'hanno per un po' salvato dal grigiore di sé stesso, colorandolo di una nuova consapevolezza.

È capace di fare qualcosa di buono.

Ma sempre senza far sì che si sappia il suo nome.

Anonimo.

Quindi, Mafex nasce ufficialmente. Nasce per convincere i rappresentanti d'istituto a dipingere i muri bicolore con delle storie che ricordino l'importanza del sapere e della cultura per una società migliore, per una società giusta.

L'anonimato rende interessanti ed è per questo che la sua idea viene presa in considerazione abbastanza in fretta, con l'approvazione dei piani alti.

Se lo ricorda bene, poi, quel silenzio.

È stato facile per lui – mentre tutti erano impegnati a dipingere – sgattaiolare nei posti più nascosti della scuola per lasciare pezzi di poesie, frasi piccole e buttate giù in fretta che hanno contribuito al fiorire dell'altro sé, quello che, se potesse, difenderebbe più della sua stessa vita.

È in quel silenzio che all'altro sé si è aggrappato per tornare a respirare.

Almeno un po', solo un po'.

Lo stesso silenzio surreale sommerge quel secondo piano, a qualche chilometro di distanza dalla sua Roma. Paolo, il bidello veterano del plesso, lo guida con entusiasmo e attenzione verso la sua postazione, quella in cui lavorerà per i prossimi mesi.

«Te piace sto gabbiotto, Ferro?»

L'uomo, sorridente, inserisce la chiave nella serratura del piccolo stanzino costruito al centro dell'atrio, addossato al muro, proprio di fronte alle scale. Gli fa cenno di affacciarsi al suo interno, nonostante sia tutto ben visibile dall'esterno a causa delle grandi lastre di vetro.

Manuel nota subito che è dotato di pc, stampante e macchinetta del caffè.

A lui quasi sembra il paradiso. Sorride al ricordo di come solo prima della pandemia quel lavoro veniva svolto su un banchetto e una sedia malandati, posti al centro del corridoio.

«Meglio che a casa mia, me credi?» ridacchia sognante, mentre pensa già a come renderlo suo, appiccicando tutti post-it su cui scrivere quelle piccole poesie che lo aiuteranno a passare il tempo, a non cadere e ricadere in pensieri distruttivi.

La fortuna gli pesa ancora in tasca. Quel pavone sembra scalciare, sembra voler aprire la coda per mettersi in mostra, per urlare guardami, io ci sono.

E seppur Manuel non creda nella scaramanzia, nella fortuna, seppur lo metta a disagio il fatto di portarne addosso una che non gli appartiene, in quel momento fortunato ci si sente davvero.

Anche se solo per un po', sempre e solo per un po'.

Perché adagiarsi sulle cose belle distrae dai cazzotti allo stomaco che potrebbero arrivare da un momento all'altro. Abbassare la guardia significherebbe indebolirsi e Manuel non può permetterselo se non per un po'.

«Che aspetti, regazzì?» una pacca sulla spalla lo fa ridestare dai pensieri che viaggiano come il treno Roma – Sezze in corsa. «Puoi già prendere postazione. Mo te spiego tutto quello che devi fa'.»

Finestrini sporchi, anime pure | SimuelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora