Tw: il dinosauro è di peluche
perché a me della plastica...
Manuel ha imparato a fare silenzio nel momento esatto in cui si è accorto che il suo rumore è capace di svegliare il can che si abbandona al sonno più profondo - o addirittura a quello eterno, forse.
Ce l'ha messa tutta, nel suo essere un tornado perenne, ad alleggerire i passi, a dosare il respiro, a spegnere la risata, a mettere le mani in tasca, a contenere la rabbia, ed è quasi riuscito a fare di sé stesso entrambi gli estremi dell'essere umano.
Può urlare fino a non avere voce, può mettere le mani su ogni cosa fino a riuscire a distruggerla, può lasciare orme profonde su qualsiasi strada i suoi piedi si posino, può odiare così profondamente fino a ricevere odio a sua volta.
Ma può anche vivere in punta di piedi, può mormorare senza essere sentito, può esistere il meno possibile, può amare - e non credeva di poterlo fare - nel silenzio più assordante e senza fare male.
E, prima o poi, fino a ricevere amore a sua volta.
Forse.
Lo tormenta, quel forse, mentre affronta il freddo della mattina del primo gennaio come se fosse l'unico sopravvissuto tra le carcasse di botti abbandonate per strada a condire la puzza che l'aria ha intrappolato, vuote o in procinto di scoppiare - perché troppo stanche per farlo di notte - e le bottiglie di vetro rotte a metà o in mille pezzi pronti a conficcarsi sotto ai piedi o nelle crepe delle anime stanche.
Lo tormenta, perché lui fermo non riesce proprio a stare, perché il suo silenzio parla in ogni frase che scrive, in ogni foglio che abbraccia i muri di Roma, perché il suo non voler esistere - non più di tanto, almeno - gli risulta impossibile dal momento in cui la sua vita è stata accarezzata da qualcuno che ha saputo tenerlo ancorato ad essa proprio quando si era stancato di comprenderla ed aveva iniziato ad accettarla passivamente, zampettando qua e là tra le due versioni di sé stesso che non erano mai state così simili come in quel momento.
Lo tormenta, perché sta iniziando a plasmarsi un Manuel anche in quel limbo tra i due estremi, e quel sentiero lo affronta incerto, claudicante, guardandosi costantemente le spalle.
Lo tormenta, perché per Manuel è stato tutto o sempre nero o sempre rosso - che il bianco è troppo puro e a volte teme di non averlo mai davvero visto con i propri occhi, non prima di incontrare Simone.
Lo tormenta, perché è proprio a causa di quel forse, di quell'incertezza - propria e altrui -, che Manuel non è riuscito a chiudere occhio, e ancora adesso gli rimbomba nella testa come se non esistesse altro vocabolo al mondo.
STAI LEGGENDO
Finestrini sporchi, anime pure | Simuel
Fiksi Penggemar''Saprete chi sono prima che lo sappia io'' | AU. Copertina di @TiOxBoRd [su twitter]🖤