La stazione di Sezze, avvolta dal buio e dall'umidità, è inquietante.
Sembra che i lampioni ce la mettano tutta a sprigionare la minor quantità di luce possibile, tanto che la luna – seppur lontana – appare più grande, più luminosa, più viva di loro che sono tanto vicini, rimanendo l'unica capace di mostrargli con chiarezza la strada da percorrere.
Il satellite traccia quindi un pallido sentiero che Manuel segue, incerto, fino a ritrovarsi nel parcheggio antistante alla stazione – dove riposano, sole, due macchine che attendono i treni della sera e i loro proprietari stanchi.
La tela del silenzio viene squarciata dal brontolio del suo stomaco, un rumore vulcanico che poi si disperde nel vuoto invece di tornare indietro come un boomerang – non ci sono tanti muri a restituirglielo e sbatterglielo in faccia per com'è davvero.
Quel rumore viene però ben assorbito dall'atmosfera tutt'intorno, che è l'unica a tremare quando s'accorge della fame di Manuel, tanto che diventa ancora più statica, sospesa, silenziosa.
Manuel, invece, a quella fame sembra quasi non farci caso.
È solo un solletichino che gli smuove lo stomaco per una manciata di secondi e nulla più.
Niente a che vedere coi veri morsi della fame, forti e laceranti, quelli a cui si abbandonava quando da adolescente decideva di mangiare solo un quarto del suo fabbisogno giornaliero per lasciare a sua madre qualcosa in più e permetterle di affrontare le troppe ore di lavoro per quella paga misera e umiliante – senza che lei lo sapesse.
E ben più forti, sordi, capaci di annientarlo completamente, erano i morsi della fame in cui aveva scelto di annegare quando mangiare voleva dire vivere – e invece il mondo sembrava quasi urlargli che uno come lui tutto meritasse tranne che quello.
Dovrebbe smetterla, comunque, di prendere caffè a stomaco vuoto, o forse dovrebbe smettere di prendere caffè e basta, che la tachicardia che gli provoca non è per niente rassicurante. Piuttosto dovrebbe fare un salto alle macchinette al piano terra, prima di salire a lavorare, giusto per tenere qualcosa sotto i denti e ingannare l'attesa fino all'ultima assordante campanella.
Ma è solo un po' di solletico, sono solo le sette di sera e Manuel è convinto di poter sopravvivere.
La borsa a tracolla pesa un po' di più, essendo stata imbottita di fogli stampati clandestinamente con la super tecnologica stampante del gabbiotto – fogli che non fanno minimamente riferimento alle circolari del giorno, tra assemblee studentesche e organizzazione delle vacanze di Natale, compresa di piccola festa che la preside ci tiene ad organizzare prima di esse.
Ne ha un po' approfittato, Manuel, dimenticando per un attimo quell'asettica e polverosa cartoleria del suo quartiere, e ha stampato varie copie della poesia che aveva appuntato poco prima su un block-notes nuovo di zecca.
La matita scorreva veloce sul foglio, mentre di tanto in tanto teneva d'occhio una coppia di ragazze nascoste dietro ad un armadietto, troppo prese a pomiciare per accorgersi del loro burbero professore che non faceva altro che borbottare e consumare il pavimento del corridoio nel tentativo di trovarle e riportarle in classe.
Ovviamente, con un sorriso sulle labbra, Manuel le ha coperte, fingendo di non averle mai viste attraversare l'atrio del piano.
L'hanno ringraziato sorridendogli, poi, mentre mano nella mano – dopo un quarto d'ora abbondante – si sono decise a tornare in classe, proprio sul suono della campanella che Manuel per errore? ha deciso di azionare mezzo minuto prima.
E s'è maledetto per tutte le volte in cui, anni prima, in quei corridoi così simili ma così diversi e lontani, Manuel ha dato sfogo ad una delle sue convinzioni più codarde: quella che più forme d'amore non fossero possibili quando a stento ne esisteva una, l'unica a cui si sentiva di appartenere – anche se in un modo del tutto sbagliato.
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Finestrini sporchi, anime pure | Simuel
Fanfiction''Saprete chi sono prima che lo sappia io'' | AU. Copertina di @TiOxBoRd [su twitter]🖤