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Il tonfo della porta della villa che si chiude alle sue spalle precede un silenzio che sospende il tempo.
È solo un frangente, anche abbastanza breve, che però lascia a Manuel il tempo di riuscire a cristallizzare ciò che si è appena lasciato alle spalle – prima di compiere qualsiasi altro passo.
No, non c'è nient'altro.
Diventa improvvisamente un vanto quello di aver passato la vita a mentire, perché nessuno è più bravo di lui, nessuno più di lui sa che negli occhi c'è sempre scritto chiaramente quando qualcuno dice una cosa ma in realtà ne vive, ne pensa, ne soffre un'altra.
No, non c'è nient'altro.
Stringe i pugni, digrigna i denti, conficca le unghie nel palmo della mano, ma non crolla.
Non ancora, almeno, non quando si trova in un perimetro ancora troppo pericoloso, non quando la villa alle sue spalle sembra essere diventata immensa, oscura, sinistra. Adesso ha la più assoluta certezza che di quel posto sicuro in cui si era rifugiato solo una settimana prima, non sia rimasto più niente.
Neanche Simone.
Ha sbagliato a farsi prendere ancora una volta dalla rabbia, dalla foga, dalla delusione di pezzi di vita nascosti a lungo – pezzi che si intersecano con quelli di un'altra vita che per anni ha immaginato così lontana, così contraria alla sua. Ha sbagliato perché ha scordato di fermarsi, di respirare, di fingere, almeno per una volta per una giusta causa.
Sente i suoi piedi scalpitare, come se avessero vita propria.
È da mezz'ora che vorrebbero partire e macinare passi, calpestare prima il legno, poi l'erba, poi la terra, poi l'asfalto o i sanpietrini – qualsiasi strada sia necessaria a condurlo da lui, adesso.
Ma Manuel non sa dov'è.
Tornare piagnucolando da Dante – l'unico che sa e che ha appena implicitamente mandato a fanculo assieme alla propria stessa madre – per pregarlo di sputare il rospo, non gli sembra di certo un'ottima idea.
Anche perché l'uomo gli è sembrato abbastanza sicuro nello sputargli in faccia l'unica verità della giornata: non credo voglia vederti.
Anche Manuel lo crede.
Non tanto perché Dante è suo padre e lo conosce come le sue tasche. In fondo, nel suo essere spettatore esterno di un rapporto che non ha mai avuto il privilegio di vivere, ha capito che un padre non conosce mai fino in fondo un figlio, come un figlio non conosce mai fino in fondo un padre.
Piuttosto, lo crede perché lo comprenderebbe.
Non è facile, come già non lo è stato, scoprire l'ennesimo tassello di una breve vita dimenticata, come se di bugie, parole e omissioni non ce ne fossero state già abbastanza.
Lo comprenderebbe perché anche lui nei momenti peggiori della sua vita ha reagito allo stesso modo – e gli sembra quasi strano, dopo anni passati a sentirsi così diverso da lui, capire che in realtà non sono che anime simili ferite dal proprio passato, volente o nolente.
Eppure, e Manuel è ormai stanco di sorprendersene, Simone è proprio l'unica persona che vorrebbe al suo fianco se tutto andasse a rotoli di nuovo. L'ha scoperto quella mattina, vedendolo dormire al proprio fianco, che ci sono mille cose che della sua vita fanno schifo, ma solo averlo al proprio fianco l'ha fatto sentire più tranquillo.
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Finestrini sporchi, anime pure | Simuel
Fiksi Penggemar''Saprete chi sono prima che lo sappia io'' | AU. Copertina di @TiOxBoRd [su twitter]🖤