Persona cattiva

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[tw: molestie, violenza.]

Manuel non ricorda di aver mai provato imbarazzo.

Di sicuro non quello che gli imporpora le guance, che gli allaccia la lingua, che lo fa sentire stupido e incapace di compiere qualsiasi banale azione o di prendere la decisione giusta – tipo quella di allontanarsi all'istante.

È l'imbarazzo, forse, che gli incolla le piante dei piedi alla banchina del binario 13 a Roma Termini, mentre il suo corpo si incastra ad un altro, tanto simile quanto diverso, che lo tratta con nauseabonda dolcezza.

Il vento caldo che sente – e che lo strappa via dalle braccia gelide dell'inverno – è il fiato di Simone, il cui viso ancora preme su quella porzione tra spalla e collo – un po' coperta dal giubbotto e un po' no – e sembra fargli il solletico fino alla punta dei piedi.

No, decisamente quell'imbarazzo non l'hai mai provato prima.

Forse perché le persone sfacciate e stronze come lui, di una sensazione del genere, non se ne fanno niente – le rende solo più vulnerabili, costringendole al contrappasso nel loro inferno sulla terra.

Ma l'imbarazzo è davvero per le persone deboli?

Se lo chiede, mentre quella stessa inedita vulnerabilità attraversa ogni nervo di Manuel nella stretta dei palmi callosi sulle spalle ampie di Simone, lo stesso che lo avviluppa in quell'abbraccio da un tempo che ha smesso di essere un artificioso elenco di numeri in ordine crescente, lo stesso che continua a sussurrargli una nenia infinita di grazie all'orecchio.

Che Simone fosse un tipo da grazie – come lo era da scusa – Manuel lo sapeva già da tempo.

Eppure, se qualche tempo prima avrebbe alzato gli occhi al cielo chiedendogli di smetterla, adesso sente il dovere di lasciargli il tempo necessario per far sì che la gratitudine possa consumarsi fino all'ultimo granello. Glielo deve, un po' perché è stato stesso lui a rischiare di procurargli un attacco d'ansia, un po' perché ne percepisce la profonda sincerità.

Lascia che si consumi e poi finiscila qui.

Anche quando sente il silenzio più assoluto che ne sancisce la fine, però, Manuel fa fatica a staccarsi. Tremerebbe, se non si sentisse già così ridicolo, quindi si sforza di mantenere i nervi saldi il più possibile.

Che incastrarsi in un abbraccio l'ha sempre spaventato, ma a volte fa più paura riabituarsi al vuoto.

Si stacca da Simone, molto lentamente, schiarendosi la voce e guardandosi attorno, per non dover reggere i suoi occhi.

«A-allora...» balbetta l'altro che, a sua volta, sembra non riuscire a guardare Manuel in faccia per più di tre secondi «...t-ti andrebbe una birra? Adesso?»

Manuel non la comprende neanche la scusa che dalla sua mente si srotola come un tappeto rosso sulla lingua. Si rende conto solo quando si ritrova al di fuori della stazione, camminando a passo svelto in una direzione ignota – con la borsa che gli pesa un po' di più sulla spalla –, che si è allontanato da Simone in fretta e furia, lasciandolo vuoto sulla banchina.

Se ne rende conto quando il calore del fiato dell'altro si fa ghiaccio invisibile, mentre l'imbarazzo e la fame fanno a cazzotti per chi dovrebbe avere la meglio sul suo corpo.

Decide di tornare a casa a piedi, e non fa niente se ci mette fin troppo tempo, non fa niente è gonfio di stanchezza: ha bisogno di macinare passi, di bruciare i pensieri, di attaccare in giro parte delle decine di fogli rimasti – quando può, dove può.

È davvero disorientato dal vuoto che il gelo, che preme sul suo corpo, gli lascia.

Gli taglia il viso, quasi glielo scava – niente a che vedere con la pienezza che ha sentito fino a qualche istante prima. Eppure, è il gelo la sensazione più familiare che abbia mai provato, quella in cui si crogiola, quella che – seppur ogni tanto lasci cicatrici – sembra riportarlo in vita da una morte temporanea.

Finestrini sporchi, anime pure | SimuelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora