Lui si fida

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Manuel si sente accartocciato.

Il corpo si appallottola sempre di più, perdendo la propria forma originaria, mentre la sua testa quasi collassa su sé stessa e non gli permette di ragionare o compiere azioni sensate - e, stanco com'è, neanche ci prova.

Non è tanto diverso dai fogli di carta che di solito stropiccia e lancia nel cestino, quelli su cui scrive fino a farsi male e su cui, fin troppo spesso, compie errori di cui si accorge solo durante la rilettura - quando trovare le parole giuste per esprimere ciò che gli brucia dentro diventa un po' più difficile, un'ironica corsa ad ostacoli, nonostante la necessità viva di alimentare quel fuoco.

Anche lui, come quei fogli prima di essere ridotti ad una banale forma sferica irregolare, presenta in bella vista ogni errore, un accumulo di segni che la vita non aspetta altro che contare e ricontare, per assicurarsi di non escluderne neanche uno, neanche quello più insignificante.

Alcuni sono contrassegnati da cancellature frenetiche, linee che li scuriscono fino a farli diventare buchi neri, tanto profondi da riuscire a nascondersi al mondo; quelli che, invece, rimangono in superficie, gli errori dichiarati, quelli palesi, comuni, sono sottolineati in rosso, mentre quelli davvero gravi - come alle elementari, come se quei colori non lo avessero già umiliato abbastanza - sono sottolineati in blu.

E sarebbe anche un bel colore il blu, se Manuel non avesse assimilato l'abitudine di vedere il lato oscuro di ogni cosa bella, di vedere sempre il bicchiere mezzo vuoto - non importa che ci sia comunque ancora un po' d'acqua per dissetarsi.

Il mondo, quindi, diventa due mani che modellano la carta con foga e noncuranza, facendo forza il più possibile con i palmi per schiacciarlo e rimpicciolirlo.

Un foglio con troppi errori non è un bel foglio.

È difficile da leggere, è anche un po' ridicolo, mette in mostra proprio quegli errori che potrebbero farlo sentire - ancora e sempre - giudicato, colpevole, bugiardo, incapace.

Manuel, come le parole, si ripiega su sé stesso.

Come le lettere, si confonde e si disperde.

Come la carta, diventa caos e pieghe.

Ma il cestino in cui di solito lancia quelle palle di carta si trova accanto alla scrivania, e ad un certo punto della giornata un raggio di sole lo colpisce perfettamente, insinuandosi tra quelle pieghe - probabilmente nel tentativo di dare luce ciò che vi rimane, a ciò che è ancora visibile, a ciò che in realtà si potrebbe ancora recuperare.

Nelle sue pieghe, però, è Simone ad insinuarsi.

Lo fa nel buio, al centro del parcheggio di un locale che sembra proprio non dargli tregua.

Lo fa seduto scomodo su sassolini a tratti appuntiti e terra sottile e asfissiante, che gli si attacca ai vestiti e sulla pelle - immacolati, nivei, puri.

Lo fa mentre lo culla come se fosse un bambino a cui è appena stato strappato via qualcosa di importante - anche se è stato stesso Manuel a strapparsi senza anestesia quel grande e vitale cerotto con cui ha, per settimane, tentato di tenere a bada ogni ferita inflitta e subita.

Lo fa, e non c'è esitazione.

E per Manuel non c'è vergogna, né umiliazione - per ora.

Non ha le forze neanche per quello.

Finestrini sporchi, anime pure | SimuelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora