Kallen si era allontanata un po' da Orange: lo vedeva camminare senza una meta, nervoso, e seguire direzioni caotiche che forse avevano senso nella sua testa. Si tormentò una ciocca di capelli, arricciandola su un dito, senza riuscire a togliersi dalla mente il discorso di Mihara, vero o finto che fosse. Avrebbe dovuto guardare più attentamente la foto del figlio per capire se in effetti gli assomigliava o se era tutta una balla, e invece si era lasciata prendere dai sentimentalismi.
Se al posto del camion del Fruit Parlor ci fosse stata la sua macchina, avrebbe appoggiato la schiena contro la portiera, si sarebbe accesa un'altra cicca e se la sarebbe tirata. Ma grazie a qualcuno non poteva più farlo.
«Lloyd, sono Jeremiah,» gli sentì dire, e si soffermò per un istante su quei nomi carichi di consonanti che aveva pensato di non sentire mai più.
Orange, con un gesto che pareva quasi abituale, si staccò il telefono dall'orecchio. Nonostante fosse a una certa distanza, Kallen sentì una voce allegra, acuta e distorta provenire dall'apparecchio.
«Jeremiah!»
E altre parole strillate che si persero nella notte.
Chissà com'era essere qualcun altro.
Di nuovo quella canzone – Bye, bye, miss American Pie, drove my Chevy to the levy... – le risuonò in testa, e lei espirò dal naso. Si accorse che il suo corpo aveva una memoria, che le era rimasta una sorta di impronta dell'accaduto. Per un attimo sentì i muscoli indolenziti, poi tutto svanì, come se non fosse più in grado di provare niente.
Come aveva fatto a rimanere illesa dopo che le era piovuta una tonnellata di arance sull'osso del collo?
Aveva sentito qualcosa, come una scossa che l'aveva attraversata da capo a piedi. Era familiare, ma allo stesso tempo non sapeva dire cosa fosse.
Forse un demone benigno che voleva ricompensarla per qualche gesto passato era sceso ex machina e le aveva fatto scudo col suo corpo; forse una delle forze misteriose con cui era venuta in contatto cinque anni prima era tornata a turbinare attorno a lei.
O forse, per una volta, era stata solo fortunata.
«Ha detto di sì, che riesce a mandare qualcuno,» annunciò Jeremiah.
Fortunata due volte?
Kallen si voltò e incontrò il viso soddisfatto di Anya – che s'era vista dare ragione molte volte nel corso di poco meno di un'ora – e quello di Mihara, ancora contratto. Di sicuro gli rodeva il fegato a farsi aiutare dai britanni.
Lo avrebbe tenuto d'occhio.
«Bene,» tagliò corto lei, alzando le spalle.
Rimase nel suo personaggio, la veterana di guerra indurita dalla vita, e seguì appena con gli occhi Anya che, giocando alle cortesie da alta società, («Prego, signore, da questa parte. Oh, no, attento, non calpesti lì!») accompagnava Mihara al camion e gli apriva lo sportello.
«Pensavo che fossi rimasta in Giappone,» la raggiunse la voce bassa di Jeremiah. Anche lui aveva gli occhi, quello umano e quello bionico, puntati sulla scena lì davanti. «Che cosa ti porta in Britannia?»
Fatti i cazzi tuoi.
La mente di Kallen fu infastidita di nuovo dai ricordi della terra per cui aveva combattuto. Ripensò al capo di sua madre, chino sul pomello della scala che lucidava almeno cinque volte al giorno. Incontrò per l'ennesima volta le spiagge dove erano andati tutti assieme, e Lelouch le schizzava l'acqua in volto e Milly scherzava sullo sfilarle il costume; poi vide la stessa sabbia sporcata di rosso, il giorno in cui i britanni erano scesi dalle navi e loro avevano imbracciato i fucili.
In centro a tutto, placido, lo spirito eterno del Fuji sognava e taceva.
«Ho i miei motivi personali».
*
Tre ragazzini, allineati sul vialetto come i tre soldati che fingevano di essere, mossero la testa in sincrono al passaggio di una Royal Enfield.
<Per la nostra grande Britannia, alcova delle scienze, noi c'alzeremo,> parlava la radio appoggiata a un muro scrostato, accanto a una saracinesca che non si sarebbe sollevata mai più.
Il bambino al centro tese l'orecchio alla moto fino a quando il suo brontolio si spense. Solo allora si sistemò sulla testa l'elmetto troppo largo e tirò su col naso.
«Ti ho preso, Zero!» stava gridando uno dei suoi due compagni, prima di mimare lo sparo del fucile che avrebbe dovuto uccidere l'altro, in fuga verso il marciapiede opposto, al centro della strada deserta.
Bang!
<E risorgeremo sotto le fiamme lampanti del Progresso!>
Cécile scese dal suo mezzo e prese il casco sottobraccio, stringendolo al seno. Si schiarì la gola, che le raschiava dal freddo, prima di muovere qualche passo verso una palazzina ben curata, con i muri e il cancello riverniciati di recente.
Tutte le volte che andava a prendere Lloyd, da quando si erano trasferiti a Pendragon, le tornava in mente una vecchia cartolina che sua madre teneva attaccata al frigo. Era la veduta aerea di una città al limitare del deserto, in cui una linea – netta come quella di un confine tracciato a tavolino – pareva separare i grattacieli dalla sabbia. Una splendida soluzione di continuità.
Il palazzo dove abitava Lloyd le era sempre sembrato uno di quei grattacieli, al limitare non del deserto, ma di un quartiere povero che inesorabilmente avanzava, nutrito dalla crisi postbellica, ed erodeva il ceto medio lasciando a terra la sabbia delle sue ossa.
E così immigrati, lavoratori di fatica, prostitute e famiglie indebitate guardavano davanti a sé e vedevano le case degli yuppie, di chi per un motivo o per un altro non voleva abitare a St. Darwin Street, dei piccoli borghesi che lottavano con le unghie e con i denti per mantenere quel barlume di ricchezza che attraeva come falene gli occhi degli altri.
A loro volta, anche i bravi cittadini guardavano in basso; dalle finestre delle loro case si affacciavano costantemente sul baratro. Sapevano che il pericolo era costante, era reale, che perduto il lavoro avrebbero fatto la fine di quei vicini di casa che tanto disprezzavano, di quella feccia che non avrebbe mai potuto risalire la china della società. E non era più nemmeno colpa degli Eleven.
Indifferente a tutto, la crisi economica avanzava come un'orda barbara.
Una volta Cécile aveva chiesto al signor Lloyd che cosa ne pensasse. Se non percepisse un desolante pericolo affacciandosi alla finestra che dava a est piuttosto che su quella che dava a ovest, l'ombra di una povertà che un tempo divideva i britanni dai coloni e ora i britanni dai britanni.
Lloyd s'era avvicinato al vetro, aveva scosso piano la testa e strizzato gli occhi, come faceva sempre quando voleva riportare alla mente qualcosa. Aveva osservato il marciapiede e poi aveva giunto le mani in grembo.
E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi?
Era una soluzione, quella gente.
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Čerenkov my love
FanfictionUna fanfiction su Code Geass, ma soprattutto una storia di scienza e di arance. ✴ Sono passati cinque anni dallo Zero Requiem, atto di liberazione di una nazione intera, e ora Britannia trascina le sue vecchie ossa attraverso quello che è stato dich...