CAPITOLO V

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Alcazar, New Mexico

Non c'è che una persona in tutta la navata vuota, un uomo inginocchiato dinanzi a un piedistallo. Se ne vedono solo i lunghi capelli, una matassa arricciata di fili castani, biondi, rossicci e canuti, scossa da ogni sussulto della sua schiena. Sull'intonaco candido rimbalza ogni suo singhiozzo sommesso.

La chiesa è modesta sia nelle dimensioni che nell'arredamento. Non ci sono ricchi affreschi sulle volte, anzi, mancano anche quelle: il soffitto è sorretto da tronchi tozzi in file grossolane. L'altare non è ricoperto d'oro e non ha di certo un pomposo baldacchino, è un tavolo in legno coperto da una palla stropicciata in lino bianco. Il fondo non culmina in un'abside, ma in un semplice muro, con un polittico di santi stilizzati dai colori sgargianti. Il crocefisso in legno è alto poco più di un metro, ma è scolpito finemente. Non ci sono panche, ma due colonne di sedie in vimini divise da un corridoio che collega l'altare al massiccio portone in legno.

Intanto, la figura di spalle continua a bisbigliare qualcosa di incomprensibile poiché le sue parole vengono soffocate dai continui lamenti. Con le mani coriacee stringe gli spigoli marmorei del piedistallo e volge il suo sguardo alla statua barbuta.

Lo sguardo compassionevole di San Rocco sembra rispondere a quello del penitente, che rimane da solo a lungo, continuando a stringere la pietra fredda e nuda.

Solo dopo lo raggiunge una figura vestita di nero, che si avvicina e gli appoggia la mano sulla spalla.

«Cosa succede, fratello?» domanda con una voce limpida e rasserenante.

La risposta è un pianto gutturale simile a un grugnito.

«Sei tu, Augusto.» Afferma, dopo averne visto il volto.

Quella faccia di cuoio duro e scuro, ammorbidito dalle lacrime, appartiene a Steiner, il quale risponde dopo molto, come se avesse dovuto pescare le parole nel mare di lacrime e lamenti sconnessi.

«Padre...» si ferma per un attimo, a occhi sgranati, come se spaventato da ciò che si appresta a dire. «Padre, io ho peccato. Ho fatto un peccato grave che Dio non mi perdonerà mai. Aiutatemi, padre!»

Quel viso bruno rassicurante ora si fa adombrato. Forse teme i contenuti della confessione che riceverà.

«Ne vuoi parlare?»

La domanda è seguita da un infinito silenzio, rotto da un sospiro di Steiner, che annuisce. Il sacerdote gli porge la mano per aiutarlo a rialzarsi. Lui la stringe con vigore, come se avesse bisogno di quel calore per la sopravvivenza, e si avviano verso una fila di sedie.

«Era da tanto che non venivi qui. Da quando... Beh, da quando tua moglie non c'è più.»

«Esatto, con oggi fanno sei mesi.»

«Perché non sei più tornato?» gli chiede il prete, niente affatto inquisitorio. Più che giudicarlo, è in sincera apprensione nei suoi confronti.

«Non ce la facevo. Pensavo che Dio mi avesse abbandonato.»

Il padre lo guarda con pietà.

«So quanto è difficile mantenere forte la fede davanti alle tragedie. Ma Dio non abbandonerebbe mai uno di noi! Veglia sempre su tutti, siamo i suoi figli...»

«Ah, sì? Padre, con tutto il rispetto, ma è possibile che Dio voglia che mi accada tutto questo? È possibile che sia così...» fa una breve pausa, come se non avesse il coraggio di dire quello che pensa. «...che sia così crudele?» a stento trattiene le lacrime e il tremore nella sua voce.

Il curato è impacciato davanti a tanto struggente dolore e proprio non sa come confortarlo.

«Mi chiedo solo perché non abbia preso me. Stella poteva ancora vivere a lungo, era giovane. Perché sono rimasto solo io, padre?» gli chiede, disperato, mentre lo guarda negli occhi per la prima volta dall'inizio della conversazione, al fine di invogliarlo a dargli una risposta impossibile da trovare.

How to kill InnocenceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora