CAPITOLO XV

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Dead Mountains Trailer Park, California

Un uomo siede su una vecchia sedia da giardino conficcata nel terreno battuto arido e bruno. Fuma da una pipa lunga e sottile, un camulè cerimoniale dei nativi. Porta i capelli corvini in una robusta treccia che gli supera le scapole. Ha un viso di terracotta, le cui profonde rughe ricordano le striature delle montagne che lo circondano, il naso aquilino, gli zigomi alti, gli occhi a mandorla ravvicinati, taglienti nel profilo. Fa dei respiri profondi dopo ogni tiro, mentre osserva soddisfatto il profilo dei monti aspri che gli si aprono davanti.

Indossa una giacca in jeans scura slavata e una camicia ricamata in stile azteco, negli stessi colori del paesaggio circostante: celeste, marroni, nero. I pantaloni sono in fustagno ocra e gli cadono larghi sugli stivali in pelle cioccolato che sono fustigati dall'usura. Sulle gambe è poggiato un cappello scuro, con una fascia fatta di perline colorate, da cui pendono due piume medie.

Alle sue spalle, la sua dimora: una roulotte grande, parcheggiata lì da tempo immemore, come testimoniano i ciuffi secca d'erba che spuntano dai suoi confini arrugginiti e la patina impossibile da scrostare sui finestroni squadrati. Davanti la porta, una coperta in lana colorata, decorata con motivi tessili Navajo. Il tetto ammaccato è affaticato da alcuni pannelli solari che, insieme alla "pala eolica" realizzata con i rottami che gli sono capitati sottomano – persino una ruota di bicicletta e dei teloni sforacchiati– è la fonte di energia per la roulotte e per l'edificio limitrofo, collegato con un cavo rudimentale, sospeso flaccido nel vuoto indaco. La baracca adiacente ha una base in mattoni e una struttura fatta di scaglie di lamiere, travi e bancali che sembrano tenute insieme dalla sola speranza di non cadere. Le due strutture sono cinte da una recinzione metallica atta a proteggere la mezza dozzina di galline e il maialino che si crogiolano nel cortile dai coyote. Legato a uno dei pali che la reggono, un mulo abbastanza magro, dal manto che è una matassa. L'anziano è anche riuscito a scavare un pozzo, la cui base non è altro che un cilindro irregolare di pietre incollate con la malta. Il benvenuto ai visitatori lo danno la cassetta della posta semi-divelta e ormai glassata dalle ragnatele, un totem ricavato da un rozzo tronco, con il teschio di una vacca, sbiancato dal sole della mesa, sulla sommità e poco più in là una Hudson Hornet del '51 che, per la livrea bianca e nera, sembra il cadavere di un'orca spiaggiata e predata dai skua e dalle ossifraghe. Infatti, una ruota è quasi a terra e la polvere ha ammantato vetri e cofano, per non parlare poi delle bardature di ruggine.

Il "complesso" è di fatti isolato dal resto del parco caravan – o, per meglio dire, quel che ne rimane; la gran parte delle abitazioni provvisorie sono state vittime della trascuratezza e le erbacce sono riuscite a sfondarne le finestre rotte. Altre sono poco più che scheletri, perché l'uomo le ha spogliate dei loro pannelli per costruire il piccolo fortino. Più in là, sulla bocca della strada sterrata che forse collega il campo con il mondo dei vivi, ci sono quattro roulotte carbonizzate.

L'uomo non soffre particolarmente del fatto che è circondato dalla distruzione e dall'incuria, tanto silenziose e oberanti: continua a fumare come se niente fosse, allietato dal periodico beccare delle sue galline sull'aia.

All'improvviso, però, avverte lo strusciare di passi sul terreno sabbioso e non ci pensa due volte prima di impugnare il fucile a pompa poggiato vicino alla sua sedia.

«Via, via, cazzo! Già vi ho avvisati fin troppo.» grida, mentre lo punta nella direzione dei rumori.

«Ecco il mio amico Bobby Goodluck!» Annuncia una voce pacata e setosa. Un uomo vecchio, alto e vestito in un completo a tre pezzi candido sembra sbucare dal terreno. Non appena Bobby abbassa il fucile, procede a sedersi di fianco a lui, sull'altra sedia da giardino. Il suo aspetto è curato, ha il volto rasato e i capelli canuti sono tenuti in falangi rigide e ordinate. Il vento, che da milioni di anni sfregia le creste argillose davanti a loro, si placa: l'uomo emana un'aura rasserenante anche per le intemperie più violente della natura.

How to kill InnocenceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora