CAPITOLO VII

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Las Cruces, New Mexico

Nello squallido club, annegato nella luce rossa dei neon, non c'è molta clientela. Quei pochi che hanno deciso di avventurarvisi hanno un aspetto davvero poco raccomandabile. Due donne in topless, con il volto stanco e insofferente, continuano a girare lente attorno a pali metallici -uno opposto all'altro- su un palco, senza il benché minimo entusiasmo. Come pubblico hanno un capannello di uomini ubriachi marci nonostante l'ora, i quali fanno scivolare di tanto in tanto banconote stropicciate da un dollaro nelle loro mutandine. Bel modo di passare la pausa pranzo, senza dubbio. Un uomo della security annoiato vigila sulla sala appollaiato su uno sgabello troppo piccolo mentre mangia un panino. Il suo nome è Brodie, come suggerisce la targhetta appuntata alla camicia nera.

 Viene interrotto dall'urlo di una delle ragazze. Brodie scatta all'impiedi e lascia il tramezzino sul bancone. Uno degli spettatori è salito sulla pedana e ha iniziato a ballare attorno a lei, provando anche a palparla. L'uomo, ubriaco, scivola giù dalla pedana prima dell'arrivo della guardia, che lo solleva per il bavero della giacca.

«Che cazzo fai, coglione? Esci subito!» urla, non appena lo solleva.

L'uomo, barcollante, tenta di tirargli un pugno, ma è talmente goffo che Brodie riesce a stritolargli la mano e neutralizzarlo. Ormai troppo infastidito, lo trascina fino all'uscita, per poi spalancare la porta e scaraventarlo fuori.

L'ubriacone viene accecato dai forti raggi del sole, che chissà da quanto non vedeva, come un vampiro uscito durante il giorno. Brodie rimane a bloccare l'entrata grazie alle sue spalle ampie e robuste, osservando i suoi patetici tentativi di rialzarsi, che culminano sempre con una caduta.

«Ehi, voglio un'altra birra, cazzo! Quante volte lo devo ripetere?» sbraita uno degli sgarbati avventori, rintanato nel suo separé. Ha il naso ricurvo, il labbro esteriore sporgente e pochi capelli biondi e sporchi. I suoi occhi grigio acciaio osservano l'ambiente come se stesse escogitando quale piano malefico. Insomma, un ritratto dell'affidabilità.

«Arriva subito.» Esclama una donna, seduta dietro al bancone. «Ines!»

La barista sembra piuttosto attraente, prima di aprire la bocca. Poi, rivela le rovine annerite e marce infilzate nelle sue gengive gonfie, distrutte dall'alcol o da chissà cos'altro.

«E vedi di muoverti! Claude non ha mica tutto il giorno!»

«Arrivo, arrivo!» replica una voce troppo acerba per un posto come quello, dal fondo del locale.

Una ragazzina di media statura si incammina verso il bancone. I suoi capelli, di lunghezza media, sono vaporosi e assomigliano molto al piumaggio di un uccello. Il suo volto ha una forma un po' appuntita: sembra proprio quello di una volpe, come il suo sguardo attento e vispo, proveniente da due piccoli occhi scuri. I lineamenti non sono ancora adulti. A sinistra pende una sottile treccia che va oltre il mento e le accarezza il viso ogni qualvolta che lo sposta. Il suo trucco non è troppo eccessivo e contrasta con quello delle stripper e della barista, così come l'abbigliamento: indossa una maglietta bianca rovinata, con una stampa appena leggibile che riporta "I ♥ L.A."; sopra, una salopette in denim color cioccolato, abbastanza usurata anch'essa, arrotolata fino a metà coscia, con una bretella aperta. Ai piedi, scarpe di tela in condizioni pessime, rattoppate con tessuti diversi e con la parte in gomma sporca. Afferra il vassoio preparato dalla barista, che non si risparmia di lanciarle un'occhiataccia di disgusto, per poi dirigersi al tavolo di Claude, che continua a osservarla, mentre i suoi denti dorati placcati in tartaro ventiquattro carati brillano in un ghigno inquietante.

«Ehi, bambolina, sono qui! Non mi vedi?» gli chiede, sbiascicante, senza cancellare quel sorriso da ebete un po' terrificante.

Ines cerca di ignorarlo, ma il suo atteggiamento le mette paura. Si avvicina con passi incerti.

How to kill InnocenceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora