Capitolo 9

21 8 1
                                    

Un poliziotto gli intima di andarsene, e lasciare che le autorità facciano il loro lavoro, ma Brian non molla di un secondo la presa. Dopo qualche minuto di pazzia, dove da quella bocca assetata di vendetta uscivano i peggio insulti verso la polizia, ed aver rivelato chi è, riesce, seguito passo passo da un agente, ad entrare e osservare, a mente più fresca, il luogo dove la mamma ha dato il suo ultimo respiro, prima di raggiungere il paradiso. Avviene il silenzio, dopo che l'agente Stewart ha concesso, per qualche minuto, l'accesso a quella casa, ormai del terrore. Resto in macchina, mentre il mio cuore batte all'impazzata al salirmi in mente i flashback di qualche ora prima.
Urla.
Sangue.
Questo occupa la mente in questo momento, facendo mandare a fanculo tutto il resto dei pensieri. All'improvviso un agente di polizia corre dentro casa, seguito da altri due. Si sentono delle urla, e sempre più polizia accorre mentre si sentono urla di un uomo che tenta di svignarsela, aggredendo qualcuno. Dopo qualche minuto, con le manette ai polsi e un taglio sul sopracciglio gocciolante di sangue, esce dalla porta di quella casa il signor Miller. Dopodiché gli agenti aggrediti escono man mano, con qualche zigomo rosso o qualche labbro spaccato. Esce quasi vittorioso e fiero da quella dimora, dall'aspetto rosa e fiori. Una dolce e deliziosa villetta a schiera contornata da aiuole di ortensie di qualsiasi colore e dimensione. I mattoni rossi contornati dal cemento bianco danno quell'aspetto rustico e semplice, da far venire voglia a chiunque di sentirsi accolto. Subito dopo, Brian esce accompagnato dallo stesso agente con cui è entrato. Arrivato all'ingresso, i lineamenti del viso delicati e angelici della persona che amo alla follia, diventano duri e aspri, che sputano da tutti i pori vendetta. Si inginocchia sul tappeto con su scritto un accogliente "Welcome", sporco di qualche goccia di sangue, urlando a squarciagola l'odio profondo che prova verso il padre. L'urlo successivo a queste parole, è un grido spezzato e logorante. Le guance infuocate fanno capire il disastro che ha dentro, nell'anima. Quell'anima pura e bianca, contornata da un po' di misteriosità, si sta dipingendo man mano di un nero oscuro e tenebroso, terrorizzandomi. Una fitta al petto, o forse direttamente al cuore, mi arriva, vedendolo in quello stato di sofferenza e strazio, contornato da inquietudine. I suoi occhi sono spenti, non brillano più di smeraldo, e di speranza, facendomi venire la pelle d'oca. Il viso pallido, contrastato dal rossore delle sole guance, fanno si che il mio Brian, non sia più lo stesso.
<<Ti uccido.>> sono state le ultime parole che ha udito il padre, dal figlio, prima di essere portato via da una pattuglia della polizia.
L'agente prende per mano Brian, che sorprendentemente non oppone resistenza, e lo accompagna alla nostra macchina. Gli occhi di Brian erano rivolti verso il vuoto, fissando il cemento. Arrivato a qualche centimetro da me, ancora chiusa in macchina, alza lo sguardo. I suoi occhi sono di un grigio scuro, così scuro che quasi si confonde con la pupilla. Degli smeraldi non c'è più nessuna traccia. Osservo ogni suo movimento meccanico che fa, dall'entrare in macchina, fino all'osservare il vuoto, senza calcolarmi minimamente. <<Ti amo.>> sussurro, mentre sembra aver preso un po' più di ragione. Ma la risposta non arriva. Il mio sguardo va verso il basso, triste dal silenzio. Mio padre entra in macchina, mentre io, Brian e mia mamma siamo stati in silenzio per la mezz'ora successiva. A metà strada, tra il solo il rombo delle macchine, viene sussurrato da quelle dolci labbra ancora carnose <<anch'io.>> causandomi un sorriso, susseguito da una sensazione di pace.
Come la quiete dopo la tempesta.

CookiesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora