Capitolo 11

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Un vestitino azzurro contornato da merletto bianco fascia alla perfezione il mio corpo minuto da bambina. Il mondo attorno a me è tutto in bianco e nero, comprese le persone e gli animali. Mia mamma dal piano di sotto mi chiede se sono pronta, e io acconsento gridando felicemente. Sono così emozionata. Mi muovo di poco, dirigendomi verso il mio letto, ma qualcosa di molto strano ad un passo dietro di me si fa vedere di sottecchi. Voltandomi, noto un alone nel posto in cui mi trovavo prima che colora la moquette nera, in un vivido verde speranza. Curiosa, faccio un altro passo avanti, e con mia sorpresa, vedo che effettivamente ad ogni passo che faccio, coloro la moquette. Traccio un cuore con la mia ballerina bianca e blu sul pavimento, colorando il tratto in un modo totalmente naturale. Poi disegno una faccia felice.
Poi un cane.
Una casa.
Un sole.
Una luna.
Un biscotto.
Un orsacchiotto.
Improvvisamente la porta della mia cameretta quasi interamente colorata si apre, con la sagoma di mia madre che si impianta con fare autoritario lì fuori. Appena tenta di aprire bocca, quella bocca ancora nera sul suo volto ancora in bianco e nero, mentre sta per alzare un dito, forse per sgridarmi del ritardo, la interrompo. <<Vieni mamma, fatti colorare un po'.>> d'improvviso, appena il mio indice tocca la sua pelle fredda, si colora tutto il suo corpo, compresi i vestiti della mia dolce mamma, facendola tornare dolce e gentile. <<Sei l'unica bambina in tutto l'universo che ha un compito speciale, cookie. Devi salvare il mondo con la tua felicità e i tuoi colori.>> un fare interrogativo compare sul mio volto, e mia mamma si schiarisce la voce per spiegarmi meglio. <<Bambina mia, i tuoi 8 anni hanno portato con se un dono speciale. Tutto il mondo è in bianco e nero, così come chiunque di noi lo vede. Tu, attraverso il tuo tocco magico, che hai applicato poco fa, riesci a salvare questo mondo cinico, freddo e arido in un mondo colorato, emotivo, e sensibile. Bambina mia, hai un dono. Sfruttalo finché puoi, spargi felicità ogni dove sia possibile. Urla al mondo i tuoi colori vivaci e fai splendere chiunque. Ma proprio chiunque. Anche i cattivi hanno bisogno di un po' di colore per diventare meno cattivi. I cattivi vogliono un po' di colore per essere buoni. I cattivi alla fine sono un po' buoni Sally.>> continuo a non capire cosa mia madre stesse dicendo, ma acconsento. Un abbraccio forte e caloroso riempie tutta la stanza, colmandola di amore. <<Adesso vai, e fai splendere tutti, cookie.>>
<<Sally, tesoro mio, svegliati ti prego.>> implora mia madre tra i singhiozzi, ad un centimetro dal mio viso. Una forte stretta di mano stringe la mia, bianca come lo zucchero, in netto contrasto con la sua, scura. Apro leggermente gli occhi, e mia madre smette di piagnucolare, concentrandosi sui leggeri movimenti che il mio viso sta facendo per il risveglio. La stretta invece diventa sempre più forte, sentendo quasi il suo battito del cuore. O forse è il mio.
Un mal di testa mi domina tutta la mente, scombussolando i pensieri. Due occhi grigio scuro, con ogni più piccola forma di verde ormai scomparsa, mi fissano in modo quasi perso nel vuoto. Quello sguardo già lo vidi.
Quello sguardo era quando vide il cadavere della madre.
Quello sguardo era prima della tempesta.
Quello sguardo stava pensando.
Avevo paura di cosa quello sguardo potesse trasmettermi, così decisi di deviare il mio per evitare che mi bruci.
Dopo aver aperto gli occhi, un grande profumo di candele mi inebriava le narici, mentre cercavo di ricordare cosa fosse successo. Il salone si era trasformato in una sala di Dio. La Bibbia, le candele e il rosario in mezzo alle mani di mia mamma mi hanno fatto spalancare gli occhi, spaventandomi. <<Perché sembra che stiate facendo un rituale?>> chiedo. Mia mamma fa per parlare, ma mio padre le intima qualcosa nell'orecchio. Qualcosa che non posso sentire.
Ansia.
Mi dicono che probabilmente era solo ansia.
Un bicchiere di camomilla sta sul tavolino accanto al divano, così lo bevo. Il suo calore mi riscalda le mani, e il suo sapore mi rilassa quasi dopo subito. Mi concedo un solo secondo per osservare attentamente il grigiore di quegli occhi.
Ma non lo vedo.
Ora sono smeraldi.
Al vedere ciò, mi rilasso. <<Non devi farmi spaventare più così, come te lo devo dire.>> gli sento dire, e quegli smeraldi si inumidiscono. Mia madre si alza e mi lascia un leggero bacio sulla fronte, prima di lasciarci da soli e andarsene insieme a papà.
<<Dove eri andato?>> Brian distoglie lo sguardo, fissando la cagnolina che è intenta a mordersi la coda. <<Lila smettila.>> esordisce, dopo aver urtato vicino ad uno sgabellino, con una piantina di ciclamini poggiata, facendo cadere un fiorellino ormai seccato a terra. <<Dove sei andato?>> ripeto, scandendo bene le parole. Dopo un interminabile minuto di silenzio, mi alzo e faccio per andare in camera, ma la sua mano si posa sulla mia spalla in modo prepotente, facendomi sedere di nuovo nello stesso posto di prima. <<Volevo andare a casa, quella mia. Volevo vedere se ci fosse ancora la polizia. Volevo vedere se fosse chiusa. Se tutto stesse al proprio posto. Volevo tornare lì e sentire l'odore di casa che fino a qualche giorno fa sentivo e mi accoglieva. Poi tuo padre mi ha chiamato dicendomi che fossi svenuta, e sono corso. Mi sentivo così impotente a vederti su quel divano con gli occhi chiusi e tua mamma che recitava tutte le preghiere che conoscesse, Sally. E mi sentivo così impotente in ospedale, sia per te che per mia mamma. Voglio che tutto questo non accada mai più. O meglio, che questo sia un terribile sogno.>>
Ma così non è.
È tutto reale.
I suoi occhi sono ormai crollati in un mare di lacrime. Ad ogni parola la sua voce diventava sempre più rotta. Ad ogni sua parola il suo cuore si rompeva, e un po' anche il mio. <<Mi dispiace.>> riesco a dire solo.
La verità, Brian, è che anche io mi sento impotente come te.
Un ricciolo gli cade sulla fronte, e come al solito tento di levarglielo. Le mie dita sfiorano quella ciocca, ma la sua testa indietreggia, non permettendomi di spostarla. <<Perché?>> chiedo, riferendomi a quel gesto. Il silenzio assoluto regna di nuovo in quella camera, come accadeva spesso in questo ultimo periodo.
La verità, Sally, è che a questo silenzio ti ci abituerai.

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