4.

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Lo vedevo ballare con lui e il mio cuore continuava a sanguinare, vorrei averlo avuto io tra le braccia, ma era tra le sue, si guardavano come avrei voluto essere guardato io, come mi guardava un tempo.
Mano nella mano al centro della pista, l'altra mano era sul basso della schiena di Jimin, lo teneva stretto a sé.
Io ero in un angolo della sala, li guardavo, quella stupida festa, sapevo che non dovevo andare.
I miei amici e tutti i presenti si stavano divertendo e io avevo passato il tempo in compagnia del mio drink annacquato, nemmeno del buon alcool avevo potuto gustarmi.
C'era la folla che ballava, che saltava, che si strusciava, ma l'unico che vedevo in mezzo a tutti era lui che si godeva il ballo con il suo ragazzo.
Lo avrei strappato dalle sue braccia, avrei messo una mano sul suo fianco e incollato il mio corpo al suo.
Bramavo tutta la sua attenzione, non volevo altro.
Lui era l'unica persona che desideravo al mio fianco.
Perdermi nei suoi occhi, sentire il suo respiro caldo su di me, sul mio collo mentre appoggiava la testa sulla mia spalla, mentre si stringeva a me con la paura di perdermi, mentre anche lui desiderava solo la mia compagnia e quella di nessun'altro.
Non siamo nemmeno amici ormai, siamo dei semplici coinquilini che si limitano  a salutarsi.
Eravamo a quella stupida festa e io pregavo che sparissero tutti, che rimanessimo solo io e lui.
Il mio cuore gli è sempre appartenuto, reagisce solo a lui, si distrugge e si riempie di lui, di Jimin.
Indossavo una maschera nera, copriva metà volto, nascondeva le mie lacrime.
Ma all'improvviso non riuscivo più a farmi ancora del male, me ne sono andato via da quel caos mentre lottavo con quello mio interno.
Ho detto ai nostri amici che ero stanco, lo ero, che avevo mal di testa, la realtà è che provavo un altro tipo di dolore, più infimo, più invasivo.
Mi ero rifugiato in garage, avevo levato la camicia, perfino in quel tessuto mi sentivo soffocare, ero rimasto a petto nudo e mi sembrava di tornare a respirare.
Successivamente avevo indossato i miei pantaloncini e i guantoni, dovevo buttare fuori la tempesta che cercavo di trattenere con tutte le mie forze.
Nel mio posto sicuro potevo finalmente liberarmi, potevo svuotarmi.
Iniziai a imprecare, a pugnare il sacco, ad ogni pugno mi sentivo più leggero.
Ogni colpo era un'immagine di lui, il suo sorriso, quello che volevo odiare per smettere di soffrire, ma lo amavo più di me stesso.
Avevo voglia di averlo con me, sul mio letto, strappare i suoi vestiti, baciare ogni centimetro del suo corpo, togliere il passaggio del tocco che non era il mio.
Volevo che sul suo corpo ci fosse solo il passaggio delle mie mani, delle mie labbra, volevo trasmetterli tutto quello che sentivo per lui, ed era tanto, era qualcosa che non saprei nemmeno descrivere a parole.
Stavo sfogando la mia rabbia verso me stesso, stavo colpendo quel sacco inanimato immaginando il mio volto su di esso, volevo punirmi.
Avevo la testa piena di lui, come il cuore, mi stavo distruggendo le mani e spezzando l'anima.
Sono colpevole di non averlo stretto a me quando ne avevo avuto l'occasione.
Mi accascio a terra solo quando avevo sfinito il mio corpo.
Raccolsi le gambe al petto chiudendomi a riccio, cercando di tenere incollato i miei pezzi mentre sfinivo anche la mia anima, piangevo per rimpianti che mi stavano consumando ormai da anni.

Lo volevo, lo volevo così tanto.

Ma chi ero per portargli via la felicità che meritava?
Chi ero per distruggere due delle persone a cui tenevo di più?
Chi ero per fare altro male quando ne avevo fatto fin troppo?

Ero stato l'unico a sbagliare, io dovevo pagare per i miei errori.
Meritavo quello che stavo provando, meritavo di cadere a fondo senza sapere se avrei avuto la forza di rialzarmi.

Ti aspetterò (Jikook)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora