1

258 15 22
                                    

Nella vertigine della soluzione estrema, l'uomo si sporse dal parapetto del ponte, lasciandosi dondolare sulle mani appoggiate al corrimano in cemento. Guardava lo spazio sottostante e cercava di valutare le conseguenze dell'impatto sulle rocce giù, in fondo, a una trentina di metri, seminascoste dalle fronde degli alberi e intramezzate da un corso d'acqua impetuoso.

Non poteva reggere la vergogna e soprattutto il corollario degli effetti nefasti di accuse che, se pur false, avrebbero provocato, in mancanza di un costoso silenzio. E non voleva cedere a quel ricatto ignobile che avrebbe prosciugato i risparmi lasciati da mamma e papà, dopo una vita di sacrifici. Aveva pensato a lungo a come uscire da quell'imbroglio, ma non era approdato a nulla. Dopo l'ultima notte insonne, era giunto alla decisione di risolvere la faccenda togliendosi di mezzo. Non poteva fare altrimenti. E oltretutto, nessuno lo avrebbe rimpianto, perché era rimasto solo.

Per qualche istante, l'uomo ripensò ai suoi quarant'anni di grigiore: la pochezza di una vita scialba, senza vittorie, che lo aveva già straniato dal compiacimento di un'esistenza felice, a tal punto da finire ingoiato in un vortice di pensieri cupi e inconcludenti. I fatti degli ultimi giorni non avevano fatto altro che dare sfogo a un desiderio autodistruttivo accarezzato da tempo.

Cancellò ogni pensiero. Si guardò intorno e non vide nessuno: l'unico mezzo era la sua macchina a un centinaio di metri, all'inizio del ponte. Salì sul parapetto appoggiando un piede sul corrimano; rimase un istante in equilibrio instabile, poi appoggiò anche l'altro sollevandosi. Il corpo totalmente sbilanciato in avanti non consentiva ripensamenti: non c'era più nulla che potesse fare, se non agire sulle gambe nello slancio di un ultimo drammatico spasmo nel vuoto.

Fu questione di poco: in ottemperanza alla legge di gravità, l'uomo si sentì trascinare verso l'abisso; avvertì dei colpi alla schiena in rapida successione, rovinando sui rami delle piante; fitte tremende, prima del tonfo sulla roccia giù, alla fine del volo. E non provò più nulla: né dolore né afflizione alcuna, tanto che per un tempo indefinito contemplò l'azzurro del cielo. Ma il sole di quella mattina d'agosto, come per ordine di una forza misteriosa, svaniva lentamente, cedendo il passo all'oscurità.


In sella alla sua mountain bike, Walter arrivò al culmine della salita prima del ponte, un tratto rettilineo e pianeggiante, dove poter riprendere fiato dopo quello sforzo intenso che gli aveva quasi azzerato le energie. Doveva percorrere quei trecento metri di strada asfaltata per imboccare un altro sentiero sterrato – tutto in discesa – che lo avrebbe riportato all'albergo dal quale era partito. Lo sapeva perché erano tre giorni che faceva lo stesso percorso e non c'era fretta di cambiare: sarebbe rimasto in Liguria ancora una settimana, fino alla fine della vacanza. Aveva tutto il tempo di provare itinerari diversi.

Questi pensieri svanirono nell'istante in cui focalizzò lo sguardo sulla prospettiva lineare davanti a sé e vide i movimenti confusi di un uomo che si buttava dal ponte. Urlò qualcosa, ma era lontano ed era troppo tardi. Facendo appello alle poche forze rimaste, pedalò veloce e raggiunse il punto della sciagura. Si fermò spaventato e ansimante, buttò la bicicletta contro il parapetto e guardò giù preparato al peggio perché non aveva dubbi sull'esito fatale del gesto: sperava soltanto di non impressionarsi nel vedere un corpo sfracellato sulla roccia.


L'altro uomoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora