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Arrivato a Sanremo, Walter indicò un buco nel parcheggio sul lungomare. Scese per primo e aprì la portiera di Giulia, senza neppure saperne il motivo: non l'aveva mai fatto prima. Lei sembrò sorpresa.

"Quanta galanteria!" disse, mentre gli prendeva la mano.

Walter rimase in silenzio, strinse Giulia a sé e la baciò. Adesso doveva dirle tutto, perché quello era il momento giusto. La guardò negli occhi, non sapeva da che parte iniziare. Il rombo di una moto pose fine alla questione. Rimasero entrambi in silenzio a guardare un tipo che scorreva fluido sulla strada, in sella a una Harley-Davidson di colore nero.

Walter rimandò la confessione al momento più opportuno, ordinò due cappuccini e cornetti seduto con Giulia all'esterno di un bar sulla via principale. Parlò di tempo e di vacanze e di argomenti leggeri. Lei parve capire. E non chiese nulla.

Quando si alzò per uscire, Walter si accese sigaretta, perché ne sentiva il bisogno. Giulia lo guardò come se fosse un alieno.

"Ma non avevi smesso di fumare?"

"Ho smesso di fumarne tante" disse Walter, sorridendo e pensando di essere spiritoso. "Ne vuoi una?

"No!"

"Hai ragione: ho intenzione di smettere."

Walter buttò la sigaretta a metà, senza staccare lo sguardo dalla figura sensuale che camminava davanti a sé. La raggiunse e, con lei al suo fianco, passò una mattina di felicità intoccabile tra i negozi del corso e le vie strette della parte vecchia, da percorrere a piedi, tenendosi per mano. Non era mai stato così bene con una donna.

Verso mezzogiorno e mezzo, prese due tranci di pizza e due lattine di aranciata, invitò Giulia a mangiare all'ombra delle palme, su una panchina poco lontana dalla spiaggia; una brezza leggera mitigava la calura estiva e recava con sé i profumi del mare.

A metà pomeriggio, Giulia riaccompagnò Walter a casa. La giornata fino a quel momento era trascorsa nel migliore dei modi, e adesso Walter doveva evitare di essere dato per disperso per la lunga assenza, perché si era dimenticato di avvisare l'albergo che sarebbe stato fuori per un po'.

Aspettò che Giulia se ne andasse, fingendo di trafficare con la chiave del cancello, poi andò spedito verso la stazione che, da come ricordava, non era molto lontana. Infilò gli occhiali da sole e abbassò la visiera del cappellino, in modo di passare inosservato o, perlomeno, non facilmente identificabile da quei passanti, che potevano conoscere Valerio.

Fece il biglietto, si recò al binario, rasentando i muri del sottopassaggio e tenendosi lontano da quei pochi che aspettavano il treno; si tenne in disparte a lato di una colonna, senza sporgere né da una parte né dall'altra, quasi fosse la naturale prosecuzione del manufatto in cemento.

Sul vagone semideserto, ognuno pensava per sé, e questo era un bene. Qualcuno dormiva, qualcun altro leggeva una rivista o aveva lo sguardo incollato al cellulare. Nessuno che potesse infastidirlo con occhiate curiose o riconoscimenti estemporanei. Un rischio che poteva concretarsi a ogni fermata. Alla stazione di arrivo, Walter si affacciò alla normalità della vita, gli sembrò di essere ritornato a casa. Tranquillo.

Camminava a testa alta verso l'albergo, senza fretta, perché adesso poteva essere se stesso. Era Walter e soltanto Walter: avrebbe mandato a quel paese chiunque si fosse avvicinato scambiandolo per Valerio. Gli venne voglia di un caffè, perché se l'era meritato, si sedette al tavolino di un bar, si fece portare un espresso, poi accese una sigaretta, in pace, senza dover dare spiegazioni a nessuno.

Quando decise di andarsene, si alzò, mischiandosi tra la gente del tardo pomeriggio, che camminava verso casa o in libertà. Passò la serata in un locale con degli altri vacanzieri che aveva conosciuto in albergo. Poi salì in camera, pensando al programma del giorno dopo. La mattina seguente, sarebbe andato a casa di Valerio in macchina, la sua. Pensò che come poteva impadronirsi di un'identità che non gli apparteneva, così poteva appropriarsi di qualcos'altro a lui gradito. Poteva perfino andare in banca a fare un prelievo, ma era meglio non sfidare troppo la sorte. Sarebbe tornato per l'ora di pranzo, e passato il pomeriggio in spiaggia a rilassarsi, e forse la serata con Giulia.

La mattina seguente, Walter scese in strada incurante delle fiammate, che avevano preso ad attraversare l'aria, innalzando la temperatura oltre la norma. Trovò La Fusion dove l'aveva lasciata due giorni prima. Erano soltanto le nove e l'interno era già rovente. Abbassò i finestrini per mitigare quella calura infernale, che penetrava nel cervello e fiaccava le forze. Uscì dal centro, poi si fermò in un supermercato, lungo la strada, a comprare qualcosa da bere.

Poco prima delle dieci, arrivò a destinazione. Scese, aprì il cancello ed entrò nel cortile in macchina. Lasciò la Fusion fuori dal garage, pronta per essere caricata, nel caso avesse trovato qualcosa. Prese le birre che aveva comprato, poi si diresse verso l'entrata con la baldanza di un padrone di casa e la sicurezza di un sano retroterra economico, quale poteva essere quello di Valerio. Trafficò con le serrature della porta blindata, che stranamente erano aperte. Si era dimenticato di chiudere a chiave? Abbassò la maniglia ed entrò deciso.

Si fermò come in un'istantanea, quando vide due uomini seduti al tavolo della cucina. Erano gli stessi balordi che avevano suonato il campanello la sera prima.

"Beeene bene bene! Finalmente è arrivato il nostro benefattore" disse quello a capo tavola, rivolto all'altro seduto di lato. "Hai visto com'è intelligente? Ha pensato di portarci anche da bere, visto che non c'è neanche l'aria condizionata in questa casa!"

L'altro non rispose e non si girò nemmeno verso l'entrata; rimase immobile a leggere o a fingere di leggere un giornale, come se fosse a casa propria, con la naturalezza ostentata di chi è avvezzo al malaffare.


L'altro uomoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora