Grazie, netturbini, per la vostra negligenza! Pensai, quando vidi - come tutti i presenti - atterrare Massimiliano, gettatosi dal secondo piano, sopra uno di quei secchi dell'immondizia, stracolmi da anni, finendo col rotolare a terra sull'erbaccia incolta; a gran sorpresa, ne uscì piuttosto incolume.
Fui l'unica ad avvicinarmi a lui per appurare la sua reale situazione, e mi sentii anche parecchi occhi puntati addosso nel farlo.
«Voglio il mio orsetto!» mi disse il ragazzino; aveva su di sé il fetore dell'immondizia, sudiciume, e qualche escoriazione sulla pelle. Massimiliano tirò su col naso, gli occhi lucidi erano pronti a rilasciare una secchiata di lacrime. «Voglio tornare a casa mia. Perché mamma e papà non tornano a prendermi?»
«Gente,» mi rivolsi alla folla. «Non si è fatto niente. Certo, potrebbe stare meglio, ma... Ehi, almeno è vivo, no? È già qualcosa. Anche se... È ortica quella roba che vedo in mezzo alla gramigna? No, Massimiliano,» infine, mi rivolsi a lui, abbassando notevolmente il volume della mia voce, «non ti grattare, che è peggio. Devi farti medicare e necessiti anche di un bel bagno... Sì? Puzzi a sufficienza.»
«Chi se ne frega del ragazzino che credeva di saper volare...» mi rispose un tipetto basso e dai capelli elettrizzati. «Abbiamo un problema più grave qui: le bestiacce rabbiose! Ti sei scordata che ci sono anche loro?»
«Certo che no, genio!» rimbrottai, con un'alzata di sopracciglia. «Li vedo benissimo da me. Non sono deficiente!»
I procioni imbestialiti, sfoggiando i loro musetti arricciati e i denti appuntiti, si stavano dirigendo proprio verso di me e il ragazzino in lacrime che faceva di tutto per restare rannicchiato ai miei piedi.
«Ho paura!» prese a urlare lui. «Sono cattivi!»
«Sta calmo, piccolino!» gli dissi io, con un tono di voce pacato, ma al tempo stesso autoritario; il poveretto tremava da capo a piedi in preda alla paura. «Alzati, dai. Non possiamo restare qui. In piedi, ora!» lo afferrai da sotto le ascelle, ma mi oppose resistenza.
«Mollalo, Pamela!» esclamò una ragazza di cui, però, non riconobbi la voce. «Lascialo ai procioni e pensiamo a noi stessi. Quel caso perso non mancherà a nessuno.»
«Ma che ragionamenti sono?» rimproverai l'impavida di turno. «Bisogna sempre aiutare chi è in difficoltà! Non si sacrifica nessuno per salvare la propria pelle: è ingiusto ed è da vigliacchi... Ma poi chi sei tu? Sta zitta, va!»
«Grazie per la lezione gratuita di morale, Pamè,» si intromise Mario, «ma sbrigati che vi stanno a due passi!»
Intorno a me, tutti se ne restavano immobili, e senza fare niente, alla vista della puzzola - leader indiscusso del branco di procioni rabbiosi - che fissava furente il ragazzino impaurito. Massimiliano, con i suoi strilli, aizzò maggiormente quegli animaletti.
Persino la volpe lasciò perdere lo scarpone del professore odiato dagli animali (che ora avrebbe avuto un nuovo aneddoto da raccontare), per unirsi ai suoi compagni.
Mi trovo in una situazione un po' complicata... Realizzai. Come me ne esco, questa volta?
Colta da un'illuminazione, afferrai una bottiglietta d'acqua che tenevo in borsa e la lanciai lontano.
La bottiglietta atterrò a qualche metro da me, senza che se ne rovesciasse il contenuto. Tutti i presenti, notai, mi guardarono come a chiedermi se fossi impazzita.
Si rivelò, però, un'ottima tattica la mia: il branco fu subito attratto da quell'oggetto di plastica; i procioni ci si misero presto a giocare, mordendola e litigandosela tra loro.
STAI LEGGENDO
Il giglio di fuoco (SN7)
RandomUna bocciatura sospetta. Quattro amici sono costretti a ripetere l'ultimo anno scolastico nell'inconsueto collegio che frequentano. Siamo a Cruentapugna, città popolata per lo più da esseri umani, dove vi sono antiche famiglie in guerra; ragazzi in...