Giunse la sera, la fresca notte stellata stava pian piano prendendo il posto dell'afoso dì, riscaldato da un sole più che rovente.
Johnny era rimasto a cena da me, nel mio appartamentino, dato che il padre Edoardo non era rientrato ancora a casa perché in giro coi suoi due amici avvocati, Fabio Dodero, che aiutava la gente a divorziare, e Vittorio Flocchini, che si occupava di questioni fiscali. Avevamo ordinato un paio di pizze, io margherita e lui coi peperoni, delle insalate e un sacco di patatine fritte che ci gustammo con due birre.
Si fece tardi quando avviai una videochiamata col portatile.
In Canada deve essere pieno giorno. Mi dissi.
Quando si decise a rispondere, mi apparve Gilberti sullo schermo: se ne stava in una camera da letto che ci teneva a far sapere quanto ricco fosse il proprietario della casa (gli arredi di lusso, come i diversi quadri famosi e originali appesi alle pareti, non volevano dare impressioni contrarie).
«Ehi!» quasi gli urlai "in faccia". «Qualcuno soffre il freddo per caso? Vuoi metterti qualcosa addosso?»
Il pantalone della tuta, era l'unica cosa che Gilberti indossava al momento. «Prima mi sono fatto una doccia, mi stavo rivestendo!» esclamò lui quasi si sentisse in imbarazzo. «Tu potevi aspettare qualche minuto, prima di contattarmi», aggiunse; si infilò in una t-shirt blu, privandomi di una piacevole visuale che mi aveva fatta arrossire.
«Sei il solito, Gilberti», gli feci una linguaccia. «Mi irriti sempre molto, ma, per tua fortuna, io sono buona e non posso avercela con te più di tanto.»
In risposta, sul viso di Gilberti comparve un timido sorrisino, era appena accennato.
Almeno non si è accorto della mia espressione idiota! Mi dissi, tirando un sospiro di sollievo.
«Ti vedo più rilassato», affermai, cercando di intavolare un argomento che scacciasse via l'imbarazzante silenzio che avrebbe potuto presentarsi da un momento all'altro. «Stai bene. Sono contenta.»
«Quando sto qui, sto sempre meglio», mi rispose lui, perdendo la sua cupezza; pareva quasi un ragazzo normale.
Constatai che vederlo da uno schermo, però, non era affatto come averlo sempre accanto: i suoi occhi verdi, così chiari da sembrare azzurri, erano sempre gli stessi; il suo magnifico volto, la sua sconfinata bellezza terrena era identica. Eppure, c'era qualcosa di differente.
Lo schermo non gli rende alcuna giustizia! Realizzai.
«Si sta connettendo anche Mario», mi fece notare Gilberti. «Ciao, amico!»
«Ehi, Smascini!» lo salutai, agitando la mano.
«Ehi, Shfomaldeschi!» mi ricambiò lui, portandosi una mano sulla bocca spalancata. «Gordon, che mi dici? Come va in Canada? Scusate,» aggiunse sbadigliando di nuovo, «sono stanco morto. Ho lavorato tutto il giorno con papà... E Johnny? Dov'è quel matto?»
«Basta nominarlo, che arriva... Eccolo!» puntualizzò Gilberti.
Johnny era appena rientrato nel salotto, dopo essere andato in bagno; prese posto accanto a me e il divano si abbassò notevolmente quando lo fece. Il biondo puzzava di sigarette come chi si era fumato un intero pacchetto.
«Ehi, ragazzi!» lì salutò Johnny, con un cenno della testa. «Mario, tirato su un'altra casa?»
«Stiamo ancora alle fondamenta! Non è come in quei giochi sul cellulare che, se superi tanti livelli, ti ritrovi tutto un castello restaurato», specificò lui; i suoi ricci castani erano incrostati di cemento e sudore. Mario era ancora più abbronzato dell'ultima volta che lo avevamo chiamato.
«Johnny... Come ti senti oggi?» gli chiese Gilberti, scrutandolo come se lo avesse avuto davanti in carne e ossa e fosse un medico che visitava il suo paziente: gli mancava solo la torcia da puntare per accecare gli occhi.
«Sto bene!» gli rispose Johnny, mettendosi più diritto e alzando i palmi verso l'alto. «Che? Non si vede?»
«Il mio cuginetto non lo si vede sobrio e lucido dai tempi delle scuole medie», ironizzò Mario. «Bene è un eufemismo.»
«Tornerò in città tra un paio di giorni», ci informò Gilberti; si sedette davanti al suo portatile, il suo viso ora era più grande nel riquadro dello schermo.
«Bene», affermai, dissimulando la mia infantile allegria con un ostentato contegno. «Ti aspettiamo.»
«Non puoi perderti la mega festa per il mio compleanno!» scherzò Johnny, battendosi la mano sul ginocchio mentre ridacchiava.
«Sì... mega festa!» Mario usò una massiccia dose di sarcasmo, come ogni volta che era troppo stanco. «Siamo sempre e solo noi quattro, in una giornata che si rivela essere insolitamente tranquilla per te... Andremo al ristorante Il cavaliere dorato, vero?»
«Ovvio!» affermò Johnny con decisione. «È una tradizione, ormai.»
«Non ci possiamo perdere l'ennesima iscrizione, prima», Gilberti annuì con fare scettico, una strana espressione gli incupì il viso.
«Ah, sapete la novità?» si entusiasmò Mario, facendosi più vigile. «Dietro il dormitorio del collegio, hanno trovato un cadavere ricoperto da un'appiccicosa sostanza rossa, inizialmente scambiata per sangue... Che schifo, eh? Sì, niente di insolito per il Terzo Quarto: vi ricordate quando Kevin Barone aveva avvistato l'alieno in tutù?» si schiarì la voce con un colpo di tosse; alzò un sopracciglio e si guardò intorno. «Ah, ho perso la partita di poker: tutti spiavano le mie carte!»
Accidenti! Pensai. Mario sta usando i messaggi in codice!
"Questa conversazione potrebbe non essere privata", questo era il messaggio che si nascondeva dietro all'ultima frase detta fuori contesto.
«Quindi...» si azzardò a parlare Johnny, guardandoci uno per uno con superiorità, «io non avevo torto quando dicevo che "un'invasione aliena era in atto!"»
Sì. Pensai, convinta che potessi far sentire a Johnny quello che stavo pensando di dirgli a voce. Forse, avevi trovato davvero una microspia. Può darsi che siamo sul serio tutti spiati, proprio come sospettavi.
«I trombettisti hanno suonato. Hanno dato il peggio di loro. C'è un violinista, di cui non conosco il nome, sta cercando altri suonatori che lo accompagnino nelle sue esibizioni», Mario continuò a parlare con noi, come se stessimo conversando in maniera normale. «Non so dove si esibirà, ancora non si sa niente neanche dello spettacolo, ma lo farà! Noi quattro siamo di sicuro invitati ad assistere... Non possiamo evitarlo!»
Com'ero certa che lo stessero già facendo gli altri, interpretai anch'io il messaggio segreto: "Ho ricevuto una soffiata interessante. Siamo nei guai amici miei. Non so chi sia, ma sta reclutando. Lo scopo mi sfugge. Agisce nell'ombra e si sta preparando ad attaccare!"
«Questa è roba grossa, gente!» concluse Mario, sbattendosi le mani sui jeans sporchi di cemento secco; ci sorrise come se niente fosse. «Buonanotte a tutti!» si scollegò subito dopo.
Gilberti lo seguì. «Ragazzi,» ci disse senza scomporsi, «occhi aperti... Sempre! Ci risentiamo presto.»
Johnny e io ci lanciammo una silenziosa occhiata allarmata. La parte finale del messaggio in codice era: "L'obbiettivo siamo noi quattro!"
Ma chi sarà? Mi domandai. A che gli servono tante persone? Cosa si sta preparando a fare e perché? Di certo non ci inviterà a partecipare a una bella festa! E perché spiare una videochiamata? Johnny aveva proprio ragione, dannazione!
«Io me ne torno a casa mia!» il biondo si levò, in preda agli sbadigli, dal mio divano. «Buonanotte, Pamela!»
«Notte!» gli risposi come un'automa, spegnendo il portatile; vidi il biondo uscire dal mio appartamentino, richiudendosi alle spalle la porta.
Mille pensieri presero a turbinarmi nella mente, in quella notte che avrei di certo passato sveglia.
Il dieci luglio è alle porte e niente può fermarlo.
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Il giglio di fuoco (SN7)
CasualeUna bocciatura sospetta. Quattro amici sono costretti a ripetere l'ultimo anno scolastico nell'inconsueto collegio che frequentano. Siamo a Cruentapugna, città popolata per lo più da esseri umani, dove vi sono antiche famiglie in guerra; ragazzi in...