9 - Vite catalogate

441 81 200
                                    

Una casetta tutta costruita in legno, alta quanto un'abitazione di due piani, con diverse finestre e la paglia secca sul tetto spiovente, era ben nascosta tra cipressi, pini e querce. I segni che alcuni alberi fossero stati sacrificati, per dar vita a quella scombinata costruzione, erano palesi dai monconi dei tronchi. Qualcuno aveva anche improvvisato una sorta di sentiero, che si inoltrava ancora di più nel bosco.

Chiunque sia il misterioso costruttore abusivo non è giunto in questo punto dal rifugio antiaereo.

Come Gilberti, ero incuriosita anch'io da quella novità, ma lo trattenni per un braccio, godendomi il contatto con quei suoi muscoli ben sviluppati, ostaggio di un presentimento che mi implorava di tornare indietro, dicendomi che quella era l'opzi...

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

Come Gilberti, ero incuriosita anch'io da quella novità, ma lo trattenni per un braccio, godendomi il contatto con quei suoi muscoli ben sviluppati, ostaggio di un presentimento che mi implorava di tornare indietro, dicendomi che quella era l'opzione meno infelice tra cui scegliere; fu come assistere a un'esplosione di luce che mise in mostra ciò che i miei occhi non erano riusciti a scorgere.

«Tranquilla», mi incoraggiò lui, e mi strinse anche la mano per darmi forza. «Non si sente alcun rumore sospetto: non vi è nessun altro, qui... a parte noi due. Andiamo.»

Un po' scettica, mi incamminai dietro di lui.

Avanzammo tra l'erba; alcuni rami spinosi si innamorarono del mio top viola con volant e della mia lunga gonna nera, al punto da trattenermi a loro con la minaccia di strapparmi i vestiti, se avessi osato muovere dei passi.

«Accidenti!» smisi di divincolarmi e allungai la mano per staccarmi di dosso quelle spine pestifere.

«Sta ferma! Ci penso io», Gilberti si inchinò e liberò dalla morsa dei rovi, per prima, la mia gonna e, in seguito, rialzandosi, anche il mio top. «Stai sanguinando... Ti sei graffiata!» indirizzò il suo sguardo sul mio braccio destro.

Il forte contrasto, tra la mia pelle chiara e il rosso vivo del sangue, spiccava come una pantera nera in mezzo a un paesaggio innevato.

«Devi disinfettarti. Hai dell'acqua ossigenata e una garza, per caso?» continuò a esaminarmi i tagli per appurarne la gravità. «Di solito, ti porti dietro di tutto...»

«Il mio essere previdente serve a qualcosa!» non persi tempo ed estrassi dalla mia borsa l'occorrente.

Gilberti, senza proferire alcuna parola, versò l'acqua ossigenata su una garza pulita e incominciò a pulirmi le piccole ferite. Non avvertii alcun bruciore.

Lanciai un'occhiata al mio amico. La distanza tra noi era così minima che il mio ginocchio fu colto da un improvviso e incontrollato tremore; un peso invisibile si decise a schiacciarmi il petto proprio in quel momento, togliendomi persino il respiro. Mi resi conto che prima di allora, nella mia vita, mai avevo avvertito la compagnia di Gilberti come una costrizione.

Mi ritrovai a pensare anche al come a qualsiasi altra ragazza si sarebbe sciolto il cuore nel vederlo così amorevole, ma io, per quanto cercassi in me un qualsiasi segnale di un potenziale sentimento per lui, che andasse oltre l'amicizia, mi resi conto di non sentire nulla, se non l'incalzante bisogno di allontanarmi all'istante da lui.

Il giglio di fuoco (SN7)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora