11 - Svegliarsi presto fa bene, ma non a quest'ora

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La mia mente era come una rumorosa e devastante bufera: ero di continuo bersagliata da pensieri violenti, sotto forma di schegge ghiacciate, che mi raggelavano le membra e ferivano la carne.

Settembre era già cominciato e, quel rinfrescante pomeriggio, io me ne stavo tornado al mio appartamentino, persa in un flusso di riflessioni senza freni e che non mi davano tregua.

Ero così concentrata, sulle pagine del diario che mi era stato rubato – e che stavo rileggendo per l'ennesima volta –, da notare appena la fila di case tutte uguali che mi sfilavano accanto, ma non avevo bisogno di vederle per riportarle alla mente: le minute e antiche abitazioni di quel quartiere avevano ciascuna un tetto rossastro e un po' malconcio; ogni balcone era decorato da vasi di fiori colorati, che profumavano l'aria di spensieratezza; le porte vintage erano abbellite da battenti in ferro, risalenti a qualche decennio prima; le crepe sui muri erano appena coperte da delle piante rampicanti che faticavano a celarle. 

Perché quel guardone ha reso le nostre vite una serie televisiva? Qual è la vera ragione che può averlo spinto a spiarci? Io e Gilberti avevamo trovato la casetta per caso o il folle sperava che ci entrassimo? 

«Sei pazza?» mi urlò qualcuno per strada; staccai gli occhi dalle pagine, per tornare alla realtà. La busta della spesa, che reggevo con l'altra mano, mi scivolò a terra, producendo un rumore secco. «Vuoi farti investire?» 

Mi fermai appena in tempo sul bordo del marciapiede: mi vidi sfrecciare un pullman blu scuro a dieci centimetri dalla faccia.

«Per mesi, giorni e ore... i segreti tormentano il mio cuore. Ciò che non deve essere ricordato, dalla mente venga occultato!» continuavo a rileggere sottovoce l'incanto che avevo pronunciato tempo addietro.

Speriamo che il guardone abbia preso questa formula come un mio stupido tentativo di giocare con le rime.

«Se al problema vuoi trovare una soluzione, è necessario ripetere la stessa operazione... Ovvio, devo bere una pozione, usando gli stessi ingredienti dell'altra volta, e pronunciare una formula... A ricordarli, però, gli ingredienti... Hai dei dubbi sulla motivazione? Una pausa di un anno era necessaria per la missione... Che cavolo vorrebbe dire?» alzai per un attimo gli occhi dalla pagina, che riportava come data quella di due settimane prima del mio incidente. «Ehi!» mi guardai intorno, per accertarmi che le altre persone in giro stessero alla giusta distanza da me, così da non poter udire nessuno dei miei deliri. «Dal diario ho cancellato a penna diverse frasi, strappato pagine... Mi aspettavo che qualcuno potesse leggerlo... Ma perché ne ero così convinta?» 

Seguitai con i miei ragionamenti che, impazziti come un branco di cani all'inseguimento di un postino, si alternavano repentini. È chiaro che non volevo dimenticare per sempre, come è ovvio che Edoardo Gregoriadis doveva sapere qualcosa dei miei piani, altrimenti perché ricomparire nella mia vita, proprio al termine dell'anno di pausa? Ma pausa per che cosa? A che razza di missione mi riferivo? Ah, presumo che il tempo me lo dirà!

«Ehi, Pamela!» riconobbi la voce tonante di Fabio Dodero; mi voltai alla mia destra, verso di lui, e una coppia, lì accanto, si girò a guardarlo incuriosita. «Unisciti a noi.»

Senza che me ne fossi resa conto, ero giunta alla grande piazza centrale della città, dove, di fronte alla posta, c'era il piccolo bar Rosa Blu, con l'insegna spenta, e dove Fabio e i suoi amici andavano dopo il lavoro a prendersi un caffè. Come ogni altro pomeriggio, i tre uomini erano seduti a uno dei tavolini esterni e osservavano il via vai di persone, per poi sparlare del tipo di turno su cui i loro occhi annoiati cadevano.

«Dai, chiacchieriamo un po'!» un sorridente Vittorio accompagnò l'invito con un cenno della mano. «Posa quella busta della spesa... Fai una pausa.»

Il giglio di fuoco (SN7)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora