22 - Traumi... sia cranici che emotivi

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Aprii gli occhi: quando misi tutto a fuoco, alla mia destra, intravidi una porta socchiusa la cui debole luce, proveniente da un corridoio bianco, illuminava in parte le pareti beige della stanza, in cui mi trovavo senza saperne il come o il perché.

Tutto, lì dentro, aveva un che di triste; l'aria puzzava di disinfettante e questo non aiutò a rendermi quell'ambiente più gradevole.

Le rumorose lancette, di un rotondo e banale orologio appeso al muro, segnavano a fatica le cinque del mattino.

Ero distesa su uno scomodo letto, coperta da un lenzuolo azzurrino che mi pizzicava la pelle scoperta. La testa mi pulsava, come fosse diventata una batteria e qualcuno la martoriasse con le bacchette, ma, anziché produrre musica, mi causava solo un forte dolore.

Mi toccai le orecchie e le sentii al loro posto; mi portai una mano al petto e il medaglione era ancora al mio collo. Tirai un sospiro di sollievo.

Nella confusione della mia mente si ripresentarono violente diverse scene: un inseguimento sfrenato per Cruentapugna, la via dei morti dimenticati, una presenza luminosa che mi aveva soffiato una polverina violacea in faccia.

«Gilberti... q-quella cosa ha addormentato anche lui, vero? Dov'è? Dove sei, Gilberti?»

Con le tempie che continuavano a martellarmi, provai ad alzarmi, ma una mano sulla spalla mi frenò, invitandomi a distendermi di nuovo.

«Sta giù, Pamy», udii una voce maschile assai familiare, profonda e seducente, ma che lì per lì non riconobbi. «Hai fatto una bella gita lungo la via dei morti dimenticati, non è così? Per tua informazione, i cinque Epuratori che vi inseguivano sono riapparsi in città, ma il loro cervello è andato: non saprebbero più neanche ripeterti la tabellina del due, per come sono messi male; comunque sono vivi. Tranquilla, il tuo amichetto sta bene: Gilberti dormiva sul nostro divano, quando l'ho visto l'ultima volta. Tu sei in ospedale, però, e ti ci ho portata io, se te lo stai chiedendo», quella persona sospirò con mestizia. «Stavi così di merda che, anche se so che puoi guarire in fretta, ho pensato fosse meglio farti dare un'occhiata lo stesso. Ehi, perché no? Una controllatina mica ti fa male, giusto?»

Quest'arroganza mi è famigliare... Chi sei? Non mi voltai a guardare il viso dell'altra persona presente in stanza con me: volevo provare a riconoscere chi fosse il borioso, col solo sentirne la voce.

«Comunque, ho fatto bene: sei un po' ammaccata, ma niente di grave; devi solo riprenderti. Avrei chiamato un'ambulanza, ma il cellulare mi ha abbandonato a metà strada... Che palle, eh? Di questi tempi li fanno apposta così: ti durano neanche un anno e sei costretto a prendertene subito un altro, e continuano a uscirne sempre di più nuovi...», dalla pausa e dall'odore di fumo che mi giunse alle narici, dedussi che il tipo aveva ignorato il divieto di fumo che vige negli ospedali e si stava fumando con tranquillità una sigaretta. «Fingerò che tu mi abbia già ringraziato. Non c'è di che, Pamy... Prego

Quando il mio cervello decifrò il lungo monologo sarcastico che le mie orecchie captarono, notai che al mio braccio era stata attaccata una flebo e, leggendo l'etichetta sul sacchetto, capii si trattasse di semplice soluzione fisiologica.

«Sì, ti sei un po' disidratata», mi spiegò la voce.

Sono stufa e il mio cervello non risponde ancora perfettamente ai comandi. Io mi giro e così vedrò, una volta per tutte, chi sei!

Seduto vicino a me, su quella che doveva essere una scomodissima sedia di plastica marrone, con le gambe incrociate e i piedi poggiati sul mio materasso, c'era lui.

«Oh, no!» scattai in avanti in un lampo, ignorando il forte giramento di testa che ne seguì; mi portai una mano allo stomaco, come se servisse a scacciare il senso di nausea. «Gualtiero Gregoriadis...»

Il giglio di fuoco (SN7)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora