Capitolo 4

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IAN
Continuo a cercarla. Il locale è abbastanza grande, ma ho perlustrato ogni zona.
Esco fuori nel giardino che è a dir poco immenso. È occupato da una grande quantità di tavoli, e gli alti alberi adornano i lati della location. Inizio a camminare nervoso, cerco di pensare e di immaginare dove possa essere finita. Vedo gente che corre qua e là ubriaca, chi canta e chi balla, ma non riesco a vedere Nina da nessuna parte, così come non vedo neanche Derek.
Comincio a preoccuparmi seriamente, inizio a correre nonostante la stanchezza immane. Arrivo sul retro del locale anch'esso colmo di tavolini vuoti e lanterne viola appoggiate sul prato. All'improvviso, finalmente vedo Nina arrivare dal lato sinistro del locale, inizia a correre, ed io le corro dietro, credo che non mi abbia neanche visto. Riesco a scorgere una zona appartata dietro una massa di cespugli, non vedo più Nina, ma mi ritrovo dietro un cumulo di cespugli e alberi alti e folti dietro cui credo ci sia una specie di tettoia che non riesco comunque a vedere bene.
All'improvviso sento dei gemiti provenire da lì, qualcuno che stava pomiciando probabilmente, poi sento la voce di Derek ma non riesco a distinguere la voce della ragazza. Non potrei mai pensare, neanche per un attimo, che sia quella di Nina anche se a dire il vero è abbastanza simile, ma mi distolgo subito dal quel pensiero assurdo. Poi la vedo. La sua borsa, poggiata lì, sotto i miei piedi, di cui non mi ero minimamente accorto. Rimango impietrito. Non può essere vero, ma non ho il coraggio di constatare. È tutto lì, Derek, lei e la sua borsa introvabile in giro e che abbiamo dovuto comprare inevitabilmente su internet. Non poteva essere nessun'altro. Mi allontano lentamente, gli occhi mi si riempiono di lacrime, mi si offusca la vista e mi gira la testa. Non so come reagire, corro verso la macchina, mi vengono in mente un milione di immagini. Io e Nina sdraiati sul divano di casa sua che giochiamo come due bambini, le serate romantiche, i baci interminabili, le promesse, gli abbracci, le carezze, il nostro amore incondizionato.  Salgo in auto e premo l'acceleratore, provo rabbia, dolore, tristezza, rimpianto, angoscia. Accellero ancora, percorro veloce la strada poco illuminata e mi gira ancora la testa, voglio arrivare da qualche parte, da qualsiasi parte lontano da qui, lontano da questo incubo e prima arrivo meglio è. Così continuo ad accelerare, all'improvviso mi si piazza davanti un albero che non avevo notato, non ho la forza di urlare e all'improvviso non vedo più niente, tutto svanisce, e per un solo istante mi sento sollevato, poi, solo buio.

Mi risveglio completamente intontito in una stanza d'ospedale. Come cavolo ci sono finito qui?  Cerco di ripercorrere tutto ciò che ho fatto, poi pian piano vado ricordando. Un senso di angoscia mi assale, comincio a tremare al ricordo di ciò che è successo, e non mi riferisco all' incidente in auto.
Vedo entrare un'infermiera con una cartella clinica in mano.
"Finalmente si è svegliato signor Somerhalder. " si avvicina ai piedi del letto. "Come si sente?"
Ora che ci faccio caso ho un mal di testa davvero fastidioso.
"Ehm...  bene."
"È sicuro? "
"Certo, quando potrò uscire da qui?"
"Dobbiamo solo fare gli ultimi controlli e penso che per domani mattina potrà essere dimesso. Ha riscontrato un lieve trauma cranico ma niente di grave. E poi c'è la ferita al polpaccio destro, colpa degli alberi, ma anche in questo caso, nulla di preoccupante, stia tranquillo. "

Si congeda uscendo dalla stanza a passo spedito. Ed io sono lì a guardarmi attorno pensando a come sia successo tutto così velocemente. "Già,  gli alberi." Penso.
Mi ritorna in mente l'immagine della borsa di Nina dietro quella tettoia e la voce di Derek, e la sua. Nonostante ciò mi stupisco del fatto che non sia venuta a trovarmi. Sembra tutto ancora così strano e assurdo.

La giornata in ospedale passa lentamente, le infermiere fanno avanti e indietro per darmi le medicine e il cibo è davvero terribile come se non bastasse.
Arrivata la sera mi addormento in quel lettino scomodo che odora di disinfettante, ma è comunque meglio questo che quello che mi aspetterà fuori una volta uscito di qui.

La luce accecante del sole mi sveglia. Guardo l'orologio appeso alla parete di fianco al mio letto che segna le 9.30 e il mal di testa non è ancora passato. Mi giro su un  fianco e quando volgo lo sguardo verso la porta della stanza eccola lì che mi fissa, bellissima come sempre, nonostante le occhiaie, gli occhi stanchi e i capelli spettinati. È poggiata sulla porta, come se aspettasse da chissà quanto. Alla sua vista non riesco ad essere arrabbiato come la sera prima, forse, una parte di me, ancora crede che non possa finire in quel modo, che ci sia ancora dell'altro. O forse è solo quello che io voglio pensare.
Rimane ferma sulla soglia.
"Ciao, Ian."

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