CAPITOLO 3

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Era passata un'altra settimana ed io ero sempre più determinata a farla pagare a quella stronza di mia moglie. Da quando avevo lasciato quella stanza, in cui non avrei mai dovuto entrare, avevo cominciato ad elaborare un piano per la mia vendetta. Lexa era una stronza, egocentrica, dispotica, non sarebbe stato così semplice metterla in ginocchio, ma in questa battaglia mi sentivo in vantaggio, sapevo cosa voleva... voleva me, ed io non mi sarei piegata così facilmente.

Iniziai subito a fare le cose che mi aveva proibito di fare. Socializzai con il personale, diventando amica un po' di tutti. Uscivo spesso con alcuni di loro, da sola e senza scorta, rincasando ad orari assurdi e quasi sempre ubriaca. Ovviamente non rendevo conto delle mie azioni a Lexa, né tantomeno ai suoi lacchè. Lei era sempre presente alle mie 'scenate', sembrava osservarmi da lontano quasi divertita dai miei innumerevoli sforzi. La cosa invece di scoraggiarmi mi spronò ad osare di più. Così, cominciai a girare mezza nuda per casa, indossando sempre di più abiti succinti e provocanti e flirtando con chiunque mi capitasse a tiro. I miei favoriti erano Jack – lo stalliere, e Taylor – l'istruttrice di tennis e pilates. Loro erano i miei compagni di bevuta e delle notti piene di follia. Li stavo usando per un fine, ne ero più che consapevole, ma a loro sembrava non importare minimamente, l'unica cosa che entrambi volevano era divertirsi.

Il piano andò liscio per quasi un mese, nel quale riuscì a togliermi solo qualche piccola soddisfazione. L'indifferenza di Lexa mi si ritorse contro, pur osservandomi da lontano riuscì ad adeguarsi in fretta al mio atteggiamento, ripagandomi con la stessa moneta. In un paio di occasioni la sorpresi a flirtare con un paio di socie in affari, non curante del fatto che a pochi passi ci fossi io. L'idea che non stesse solo flirtando ma mi stesse tradendo con una od entrambe quelle oche, mi sfiorò per diversi giorni rendendomi a dir poco furiosa. Mi sentivo di nuovo umiliata o forse ero semplicemente gelosa, cosa che mi irritò ancora di più perché poteva significare solo una cosa: avevo cominciavo a tenere a Lexa. In fondo non potevo lamentarmi, quel giochino perverso lo avevo iniziato io e mia moglie si stava solo comportando di conseguenza, non potevo certo aspettarmi qualcosa di diverso da una bellissima stronza egocentrica come lei. Bellissima?! Era la seconda volta che la definivo così e non riuscivo a farmene una ragione. Più i giorni passavano e più mi sentivo coinvolta, ma non avrei mollato, non così facilmente.

Io, Taylor e Jack eravamo appena rincasati e, come al solito, avevamo bevuto qualche drink di troppo, nonostante l'alcool ero lucida. Senza pensarci troppo li invitai in camera mia per concludere la serata, avevo deciso di andare fino in fondo, volevo la mia vendetta e forse una cosa a tre me l'avrebbe procurata. Salimmo le scale senza curarci di fare piano, tra risate, tocchi sempre più audaci e sguardi vogliosi, tutte cose che ero solita fare solo in presenza di Lexa per provocarla. Sapevo fosse sbagliato, non era da me comportarmi in quella maniera, ma in quel momento mi sembrava la cosa giusta da fare.

Non mi ero resa conto che in realtà Lexa ci stesse veramente fissando, un brivido mi pervase la schiena quando sentì la sua voce fermarmi dall'aprire la porta.

"CLARLE!!! Saluta i tuoi amici prima che li licenzi in tronco!", disse con un tono che non ammetteva repliche.

Non riuscì nemmeno a ribattere perché il secondo dopo mi aveva già afferrato il polso e trascinata via, lasciando a bocca aperta Jack e Taylor. A grandi falcate raggiungemmo la sua camera, non appena varcammo la soglia mi ritrovai catapultata sul suo letto, mentre lei era ancora in piedi che continuava a guardarmi con un'espressione che non riuscivo a decifrare. Il suo sguardo era così intenso che riuscì a farmi tremare, leggevo rabbia, desiderio, brama, paura, o forse ero io quella spaventata perché sapevo di essermi spinta troppo oltre, in quel preciso momento non la vivevo come una vittoria ma solo come una sconfitta. L'effetto dell'alcool scomparve in un secondo. Il mio cuore iniziò a battere forte, sembrava volesse uscirmi dal petto. Non riuscivo a distogliere lo sguardo da quello di Lexa, ero ipnotizzata da quegli occhi verdi che bruciavano di un fuoco che non avevo mai visto in lei. Ero distesa sul letto incapace di emettere un fiato, la mia sicurezza, la mia spavalderia erano un vago ricordo. Mia moglie rimase ferma, in piedi, per un tempo indecifrabile. Quando, alla fine, mosse dei passi verso di me ingoiai amaramente. Non avevo idea di cosa le passasse per la testa, di cosa volesse fare con me. Stranamente non ero spaventata dal fatto che mi prendesse con la forza – forse ero veramente sotto ipnosi, perché una parte di me voleva proprio quello – ma da quel desiderio bruciante che potevo scorgere nei sui occhi.

'Cosa mi succede? Sento caldo, un caldo assurdo, il suo sguardo mi sta bruciando. Nessuno mi ha mai guardata in questo modo. Nessuno mi ha mai fatto sentire in questo modo!', pensai incapace di elaborare quello che mi stava capitando.

Sentivo il sangue ribollire. Con una mossa velocissima, mi prese le caviglie attirandomi verso il bordo del letto. Il mio vestito si sollevò senza troppi sforzi quando sentì la pressione di Lexa divaricarmi le gambe. Ero esposta e dannatamente bagnata e mi odiavo per quello, ma era più forte di me la volevo con tutta me stessa. In un barlume di lucidità o forse per lenire la mia voglia, provai a chiudere le gambe, ma mia moglie me lo impedì.

"No Clarke! Te l'avevo detto di non provocarmi... adesso è il mio turno... ho una gran voglia di giocare", disse con un piglio fermo e deciso che mi fece tremare.

Era la seconda volta che pronunciava il mio nome in quel modo, con quel tono seducente e provocatorio che mi eccitava all'inverosimile. Non riuscivo a frenare la mia voglia, nonostante volessi e non riuscivo a capirne il motivo. L'unica spiegazione, abbastanza assurda, era che mia moglie fosse una strega e mi avesse lanciato un incantesimo. Era ridicolo, ne ero consapevole, ma in quel momento poco importava. Mi sentivo inerme, ero in balia di una donna che dicevo tanto di odiare, ma in quel preciso momento non era quello che sentivo veramente.

'Se la odio così tanto, perché tutte le volte che mi sfiora sento una scarica di piacere? Perché sono così eccitata?', mi domandai.

Le sue mani risalivano piano le mie gambe, le sue carezze erano accennate ma mi stavano facendo esplodere.

"Dici di odiarmi tanto Clarke, ma il tuo corpo mostra l'esatto contrario...", aggiunse fermando la sua ascesa sulle cosce.

Non potevo darle torto e questo mi fece infuriare con me stessa, ma della rabbia non sapevo cosa farmene, avevo bisogno di ben altro. Ero in affanno e mi limitai ad annuire

"Dimmi Clarke... cosa vuoi che faccia?", mi chiese risalendo fino al mio centro.

'Toccami...', avrei voluto urlare a squarcia gola, ma il mio orgoglio me lo impedì.

"Lasciami...", dissi invece poco convinta.

"È questo quello che vuoi Clarke?", mi chiese continuando a guardarmi fissa negli occhi.

Lo sguardo di Lexa non vacillò, continuava ad ardere nel mio, ed io mi sentivo sempre più sopraffatta da quel fuoco che non riuscivo a spegnere.

Ancora una volta mi ritrovai ad annuire alla sua domanda che sembrava quasi retorica. Le sue mani lasciarono subito il mio corpo ed io sentì subito un freddo assurdo, quasi mi mancasse il suo tocco.

'Dio, sono la regina dell'incoerenza... odio mia moglie, ma la voglio come non ho mai voluto nessuno, non sopporto la sua presenza, ma quando sono con lei... il cuore batte talmente forte che mi sembra di impazzire, le ho appena detto di lasciarmi – cosa che tra parentesi lei ha fatto subito – ed ora bramo solo il suo tocco... sono veramente senza speranze'.

La testa cominciò a girarmi, forse l'alcool che avevo ingerito stava facendo effetto, o forse ero semplicemente stanca di tutte l'emozioni che non riuscivo più a controllare. Mi rannicchiai e, nonostante non mi sentissi a mio agio, cedetti al sonno addormentandomi nel letto della donna che a tutti gli effetti era mia moglie.




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