CAPITOLO 15

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Era passato quasi un mese dalla confessione di Lexa. Quei giorni erano trascorsi tranquilli anche se mio malgrado in totale solitudine. Il fato, il karma o qualsiasi cosa pilotasse il nostro destino aveva voluto che mia moglie partisse l'indomani per lavoro lasciandomi sola a rimuginare.

Ed è quello che stavo facendo, pensavo, e continuavo a pensare a tutte le cose che mi aveva detto, sdraiata sul divano nella stanza con le mie foto appese. Visto gli avvenimenti non mi era più proibito entrarci e così, in quel mese, ci passai quasi ogni giorno.

Non so per quale ragione ma, a forza di rimuginare, mi convinsi che se al college avessi avuto la possibilità di incontrare Lexa, le cose sarebbe state diverse tra noi, magari saremmo diventate amiche, magari ci saremmo innamorate già allora, magari tutto il casino con mio padre non sarebbe successo e forse Lexa non avrebbe mai incontrato Jessica e quest'ultima non mi avrebbe voluto morta.

"Oddio...", sospirai.

Mentre ero persa nei miei pensieri, sentì bussare alla porta. Mi alzai e andai ad aprire. Difronte a me c'era Harper, una delle tante cameriere.

"Buongiorno Harper", dissi alzando un sopracciglio, stupita del fatto che mi avesse trovata in quella reggia.

"Mi scusi se la disturbo signora, ma è appena arrivato suo padre e ha chiesto di vederla".

"Mio padre?", le feci eco quasi incredula.

"Sì, la sta aspettando nella sala principale", replicò la ragazza.

"Signora, se non vuole vederlo posso inventarmi una scusa", aggiunse poi.

L'idea di accettare il suggerimento di Harper mi sfiorò la mente. Ero ancora risentita ed arrabbiata con lui, dal matrimonio non si era fatto più sentire né tanto meno vedere. La cosa all'inizio mi fece piacere, non volevo vedere l'uomo che mi aveva umiliata così tanto – mia moglie aveva ragione – trattandomi come un oggetto, una banale merce di scambio, ma poi l'idea di affrontarlo e dirgli tutto quello che pensavo di lui avrebbe potuto lenire il mio tormento, ma tra una cosa e un'altra non c'è mai stata l'occasione. Forse questa era quella giusta per vomitargli addosso tutto il mio risentimento, cosa poteva farmi di peggio?

"Grazie non sarà necessario Harper, scendo subito", congedai la cameriera ringraziandola.

Feci aspettare mio padre una buona mezz'ora, poi scesi nella sala principale.

"Buongiorno papà, quanto tempo...", esordì palesando la mia presenza, il mio tono era calmo e rilassato.

Lui non rispose, rimase inebetito a fissarmi per diverso tempo, forse stupito della mia tranquillità e del mio benessere. Lo tolsi dall'impaccio.

"Ti posso offrire qualcosa da bere? Un caffè? O forse è meglio uno scotch... se non sbaglio è il tuo preferito", lo punzecchiai andando verso il mobile bar.

"No grazie Clarke, ho smesso di bere già da un po'", replicò a disagio.

"Sono contento di vederti figlia mia...", aggiunse poi.

"Ma davvero papà?!", chiesi con retorica guardandolo dritto negli occhi.

"So che sei ancora arrabbiata e non ti biasimo per questo...", disse cercando di rabbonirmi.

"Ora che ho il tuo benestare per la mia rabbia sono più contenta grazie...".

Per un attimo pensai di ribattere più pesantemente, ma poi sospirai e decisi di ascoltare quello che avevo da dire.

"Comunque... immagino tu non sia qui per dirmi solo questo... ti ascolto", lo spronai a continuare, quasi avessi fretta di finire quel incontro.

Lui si guardò intorno con circospezione, quasi si aspettasse di vedere qualcun altro da un momento all'altro. Se non fossi stata così furiosa con lui probabilmente avrei riso del suo atteggiamento.

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