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Da quando ho visto Niccolò mi sento trascinata nel passato.
Un vortice oscuro di emozioni negative che mi tormentano l'anima.
Mi sento scossa, estremamente fragile.
Vorrei soltanto parlargli di tutto, confidarmi, piangere sulla sua spalla. Tornare agli anni dove lui è stato il mio riparo e far sparire tutto il male che mi circonda.
È che forse non ho scusanti, nonostante io conservi con cura ogni ricordo con lui, so che il mio dolore non sarà mai una scusa per aver fatto soffrire Niccolò.
Mentre piango sul mio letto sento uno strano rumore alla porta e ho la sensazione che ci sia qualcuno.
Probabilmente è solo nella mia testa ma sento l'impulso di controllare.
Per me alzarmi però è un impresa impossibile.
Dopo qualche minuto ci riesco e vado ad aprire la porta con qualche titubanza.
Quando la apro però non vedo nessuno.
Da lontano vedo una sagoma che si allontana velocemente ma non porto gli occhiali e non riesco a capire chi sia.
Decido di lasciar perdere e torno nel mio stupido letto, alla mia stupida tristezza, alla mia stupida vita incasinata.

Quando la mattina dopo mi sveglio e l'infermiera che ormai è diventata mia amica mi viene a trovare, racconto tutto ciò che è successo il giorno prima, compreso l'incontro con Niccolò e lo strano episodio della porta.
"Effettivamente un ragazzo moro ieri notte mi ha chiesto di te"
Se potessi descrivere come mi sento lo farei, ma probabilmente non ho parole a sufficienza. Una parte di me è felice e l'altra vorrebbe sprofondare.
"Ah si? Che ti ha chiesto"
"Ha chiesto dove fossi, sembrava anche turbato ieri, era confuso non sapeva dove andare"
Sento una fitta di dolore al petto.
"Ma tu hai detto dov'ero?"
"Gli ho detto il piano poi è andato via"
Vorrei che fosse passato, forse.
Ma forse è meglio così, distanti senza l'occasione di incasinarci ancora di più.
"Adesso torno a casa che ho finalmente finito il turno, mi aspetta una dormita lunghissima"
Quando mi lascia sola nella stanza non posso fare a meno di ricordare, quei bei momenti passati con lui, forse fantasticando un po', ma con una buona scusa per scappare dalla realtà .

11/2014

Mentre il ragazzo suonava il piano lei muoveva i suoi piedi a tempo di musica.
Movimenti spontanei che il corpo sembrava coordinare senza problemi.
Ed è proprio in quel momento che lui iniziò a fissarla mentre continuava la sua sequenza di perfetti movimenti, ammaliato dalla sua estrema bellezza.
"Guarda vedi? È così che devo danzare per il saggio"
Disse la ragazza indicando il video trasmesso nel cellulare.
"Ma non ti imbrogli coi piedi? Voglio dire troppi intrecci e giri"
"Che mi dici delle tue dita quando suoni? È uguale fidati"
"Ha senso"
Mentre Niccolò parlava dentro di sé desiderava essere il pianista del suo saggio.
Proprio come nel video voleva guardare Ambra volare su i suoi piedi, eseguire quei passi con l'estrema precisione che sapeva che la ragazza avrebbe avuto.
"Vorrei vederti danzare"
Disse di getto.
"È imbarazzante però "
Rispose lei nascondendo la sua faccia nella felpa, mente le sue gote si coloravano di quel rosa ormai troppo noto al ragazzo che le causava.
"Daje mi parli di danza da quando ci siamo conosciuti me lo merito"
Questa frase all'apparenza divertente, a Niccolò provocava un magone di tristezza. Non era riuscito a scoprire i motivi del suo trasferimento, ma nemmeno una piccolissima parte della sua vita, a parte la danza,era a lui nota.
Nonostante tra i due fosse nata una bella amicizia lei non si pronunciava su niente.
Niccolò desiderava sapere perché il suo cuore era così cupo, perché quella ragazza che riusciva a portare il sole nella sua anima, ogni tanto si oscurava di un nero impenetrabile.
Eppure quello che lui non sa è che la ragazza avrebbe voluto con tutte le forze liberare il suo peso, ma non trovava le parole giuste.
Si sentiva già lo zimbello di tutti, compresa se stessa.
"Tu però mi devi promettere che mi fai sentire come suoni"
Niccolò rimase stupito dalla dolcezza con la quale la ragazza le rivolse quella proposta.
E allora la sua impulsività lo spinse ad afferrare la sua mano e trascinarla fino in aula magna.
"Oh oh aspetta mi hai fatto fare 2 piani di corsa"
"Sono uno che mantiene le promesse signorina"
Lei era ancora pietrificata all'ingresso mentre Niccolò si era già seduto davanti al suo migliore amico... il pianoforte.
Iniziò a suonare una melodia lenta, dolce, di quelle che ti accarezzano l'anima.
Lui canticchiava qualcosa di incomprensibile, mentre suonava con tanta naturalezza.
Ambra aveva gli occhi lucidi, non per la dolce e amara musica che suonava Niccolò, ma perché forse quel momento l'aveva costretta a pensare davvero a quello che le stava succedendo.
Odiava sentirsi così imperfetta, così colpevole, così sporca.
Avrebbe solo voluto sapersi sfogare, saper parlare con qualcuno, ma se ne vergognava troppo.
Niccolò infondo le aveva offerto la sua amicizia fin dal primo giorno in questa nuova scuola, e si stava creando un rapporto magnifico.
Tanto bello che Ambra aveva paura.
Ci prova sempre a tentare ad essere sciolta, simpatica ma soprattutto felice, ma quel magone che aveva dentro, quel dolore costante dentro di sé non glielo permetteva.
Si sentiva tremendamente in colpa con Niccolò che con lei era così dolce e premuroso.
In realtà tutti qui dicono che sia uno che sta per le sue, senza dare troppa confidenza a nessuno, forse era proprio questo che la preoccupava.
Il moro nel frattempo aveva smesso di suonare e scrutava la ragazza seduta lì di fronte a lui.
Perché il ragazzo seppur conoscendola da poco tempo sapeva che aveva qualcosa dentro, forse era la sua musica a portarlo a scavare dentro l'anima delle persone, ma lui era convinto che la ragazza dagli splendidi occhi blu fosse più di ciò che voleva far credere.
"Allora che dici ?"
"Sei parecchio bravo"
Lui si accorse subito della sua voce rotta, avrebbe voluto tanto aiutarla.
"Tutto bene?"
Non si avvicinò a lei, aveva l'impressione che appena lui varcava quella linea immaginaria lei si spaventasse.
Era così fragile che forse Niccolò aveva persino paura di romperla.
La ragazza teneva gli occhi ancora chiusi e scosse la testa.
Ma poi si alzò e uscì da quella stanza lasciando Niccolò confuso, ma anche con un ulteriore conferma.
Lui doveva capire cosa aveva dentro quella ragazza.
Forse si stava fissando troppo, ma come avrebbe potuto non farlo?
Lui ormai quegli occhi tristi se li portava con sé anche la notte in sogno.
La ritrovò in cortile dove spesso si mettevano a parlare, fumava una sigaretta con il suo solito sguardo assente.
"Smettila di fumare, non curerà niente"
Disse lui mentre ne estraeva una dal suo pacchetto.
"Sei serio?"
"Tu non meriti di essere schiava di questo stupido vizio, te lo dico io che non ti farà passare nulla"
"Che ne sai tu di quello che ho dentro io?"
Non voleva risultare così acida, così alla non risposta del ragazzo, spense la sigaretta e si mise le mani tra i capelli.
"Non volevo"
Disse con un filo di voce.
"Hai ragione io non so niente di quello che hai dentro, ma so che c'è qualcosa, sarei uno stupido a non capirlo"
"È che io non ne posso più vorrei solo sparire"
A quelle parole Ambra scoppiò in un pianto liberatorio, così silenzioso che inizialmente nemmeno il moro di fianco a lei se ne accorse.
Appena se ne rese conto il ragazzo avrebbe voluto abbracciarla, ma non voleva spaventarla.
Perciò si mise di fronte a lei.
"Che fai?"
Chiese Ambra confusa dal gesto del ragazzo, mentre cercava di ricomporsi.
"Aspetto"
"Cosa?"
"Che tu ti fidi di me fino al punto di lasciarti consolare"
Ambra sentì un brivido che le attraversò tutto il corpo, lo guardò negli occhi castani per più di qualche secondo.
Avvicinarsi e abbracciarlo per le voleva dire abbassare quella barriera che da tempo aveva alzato con tutti.
La cosa che riuscì a fare fu appoggiare la sua testa nella spalla del ragazzo, sperando che lui non muovesse un muscolo.
"Posso abbracciarti?"
Disse lui speranzoso.
"No ti prego, stiamo solo così"
"Va bene sta tranquilla"
Se il ragazzo con quel lieve contatto fisico riusciva a sentirsi un po' sollevato, Ambra sentiva bruciare ogni parte del corpo a contatto con lui.
"Dai entriamo in classe è suonata da un po'"
Ambra trovò la scusa perfetta per interrompere quella situazione.
Si ricompose e se fuori bruciava per quel contatto durato così poco, dentro forse provava un lieve sollievo che non riusciva a comprendere.
I due tornarono in classe, solo per passare le restanti 3 ore a lanciarsi sguardi fugaci, mentre nella testa di entrambi si continuavano a riprodurre le immagini dello strano momento di prima.

Ancora una volta noiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora