Per me non esisti più

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"Oso sconvolgere l'universo?"
– T.S. Eliot

Lessi quella frase qualche tempo fa, su un vecchio libro trovato per caso in biblioteca. All'epoca non ci avevo dato troppo peso, ma ora mi tornava in mente con insistenza, come se il mio subconscio la stesse ripetendo all'infinito. Era una domanda o una sfida? Mi riguardava?

Mi chiedevo se avessi mai davvero osato farlo. Se avessi mai avuto il coraggio di prendere in mano la mia vita anziché lasciarmi trascinare dagli eventi. Per anni avevo preferito stare in disparte, spettatrice della mia stessa esistenza, troppo impaurita per cambiare davvero le cose. Ma ora? Ora tutto era diverso.

Eppure, ero ancora qui. Bloccata. Da tre giorni mi chiudevo in camera, cercando di convincermi che fosse solo stanchezza, che avevo bisogno di tempo. La verità, però, era un'altra: non volevo scappare, ma non ero ancora pronta a rivederlo.

Erano le sette di lunedì mattina. La nottata era stata terribile come le due precedenti: da tre notti ormai rivivevo in loop i flash dell'ultimo anno passato insieme a lui. Ogni ricordo era vivido, come se fosse appena accaduto: il suono del pubblico che esplodeva dopo una vittoria, l'adrenalina che ci scorreva nelle vene, e il modo in cui il suo sorriso sembrava cancellare tutto il resto. Ma poi arrivavano anche i momenti bui, le discussioni, le volte in cui ci eravamo salvati per un soffio. Ogni immagine era come un pugno nello stomaco, e non riuscivo a scrollarmi di dosso la sensazione di vuoto che mi lasciavano. Eppure, dovevo preparami per la mia prima lezione. Niente e nessuno avrebbe potuto rovinarmela. Con questa decisione mi feci coraggio e iniziai a vestirmi.

Durante le quattro ore passate in bianco avevo deciso che avrei ignorato l'esistenza di Finnigan, e speravo che lui avrebbe fatto lo stesso.

"Cass!"

La voce assonnata di Mel mi distolse dai miei pensieri. In quei due giorni mi era stata molto vicina senza farmi domande, e l'avevo apprezzata ancora di più per questo.

"Ehi, dormigliona, non hai lezione?" le chiesi mentre infilavo le scarpe.

"Che ore sono?"

"Le otto. Io devo scappare, sono già in ritardo!"

"Okay, vai tesoro. Ci vediamo a pranzo."

La salutai e uscì di corsa dalla stanza.

Per il primo giorno avevo scelto un paio di jeans a vita alta neri, un top dello stesso colore e un blazer gessato. Volevo un look che mi facesse sentire sicura di me, come una corazza pronta a proteggermi da qualsiasi cosa potesse succedere. Avevo domato i miei ribelli capelli rossi in una coda alta e ordinata. Dopo circa quindici minuti di cammino, trovai l'edificio di medicina. Rimasi senza parole davanti alla sua magnificenza: immense colonne incorniciavano le porte d'ingresso, e l'edificio spiccava al centro di un prato verde curato, attraversato da moltissimi studenti.

Ero elettrizzata e terrorizzata allo stesso tempo. Feci un respiro profondo ed entrai.

La prima lezione era chimica organica. Avevo tutte le indicazioni per raggiungere l'aula stampate su un foglio inviato dalla segreteria, e dopo qualche minuto di esitazione riuscii a trovarla. Alcuni studenti erano già arrivati, così decisi di sedermi in seconda fila. L'aula era maestosa, anche se non molto grande: le file di banchi erano disposte come una sorta di anfiteatro, con al centro la cattedra e la lavagna.

Dopo un po' arrivarono tutti gli studenti, seguiti dal professore, che chiuse la porta con un sorriso ironico.

"Buongiorno a tutti, io sono il professor Bishop e sono il vostro insegnante di chimica organica. Se siete pronti, iniziamo."

Il professor Bishop era un tipo strambo: indossava jeans chiari con alcune macchie di vernice, una camicia bianca e una giacca marrone. Gli occhiali tondi in stile Harry Potter lo facevano sembrare più uno studente che un professore. Iniziò a spiegare gli argomenti base del corso, e nonostante la complessità delle nozioni, era piacevole seguirlo.

Dopo circa quindici minuti, la porta dell'aula si spalancò. Entrò un ragazzo che a primo impatto non riconobbi, ma guardandolo meglio capii che era quello che alla festa aveva chiesto chi fossi, attirando involontariamente l'attenzione su di me.

"Signor Clinton, di nuovo qui," disse il professore con tono ironico.

"Lei continua a bocciarmi, professor Bishop," rispose il ragazzo con un sorriso disarmante.

La battuta scatenò una risata generale, incluso il professore.

"Non disturbi, signor Clinton. Si sieda e mi faccia continuare."

Tra tutti i posti disponibili, ovviamente scelse quello accanto a me. Mi infastidiva la sua scelta, come se fosse una provocazione deliberata. Eppure, una parte di me non poteva fare a meno di chiedersi cosa volesse davvero. Sembrava l'avesse fatto di proposito. Era stato presente quando avevo colpito Blake, e ne ebbi la certezza quando iniziò a fissarmi insistentemente. Per quanto mi sforzassi di ignorarlo, sentivo il suo sguardo addosso, e non riuscivo a seguire una parola del professore.

"Cassie, giusto?" sussurrò.

Lo fulminai con lo sguardo. Aveva usato il nomignolo di Blake apposta per provocarmi.

"Cassandra," lo corressi a denti stretti.

"Io sono Peter," replicò con un sorriso divertito.

Non volevo fare amicizia con lui. Mi infastidiva. Tornai a prendere appunti, ignorando deliberatamente la sua presenza, ma per il resto della lezione sentii il suo sguardo studiarmi come se fossi un puzzle.

Appena finì la lezione, mi catapultai fuori dall'aula come se avessi qualcuno alle calcagna. Avevo un'ora buca prima della pausa pranzo, così decisi di visitare il campus. Camminando, mi resi conto che l'aria di Boston mi piaceva: tutto era in continuo movimento, a differenza di casa, dove l'odore di asfalto e pericolo si insinuava fin dentro le ossa.

Camminavo senza una meta precisa, cercando di distrarmi dalle emozioni contrastanti che continuavano a tormentarmi. Il rumore costante del campus sembrava accompagnare i miei pensieri, finché, quasi senza rendermene conto, mi ritrovai davanti a una tavola calda chiamata "Ginky's". Appena entrai, un forte odore di caffè e dolciumi mi travolse. Mi avvicinai al bancone e osservai il locale: un'unica sala spaziosa, piena di tavoli e divanetti, con un gazebo esterno. Dietro il bancone, una parete piena di foto, firme e dediche di ex studenti dava al locale un'atmosfera calda e accogliente.

"Ciao, sono Meredith. Cosa posso portarti?" chiese una ragazza con un sorriso solare.

"Un caffè con latte e caramello e un muffin al cioccolato bianco, grazie."

Mentre aspettavo il mio ordine, sentii una scossa lungo la spina dorsale. Mi voltai istintivamente verso l'ingresso e li vidi: Blake e i suoi due moschettieri. I nostri sguardi si incatenarono, e cercai di trasmettergli tutto il mio odio.

Meredith mi consegnò il mio ordine. Stavo per andarmene quando Peter mi chiamò:

"Cassie!"

Mi voltai verso di loro, notando l'occhiata di fuoco che Blake mi riservò. Decisi di ignorarlo e mi avvicinai.

"Che vuoi, Peter?"

"Sei sempre così gentile o è un trattamento speciale? Dai, siediti con noi."

Avrei dovuto dire di no, ma la consapevolezza di poter infastidire Blake era troppo divertente per rinunciarvi.

"Sì, perché no."

Mi sedetti accanto a Peter, ignorando deliberatamente Blake. Sentivo la sua presenza come una tensione elettrica nell'aria, e nonostante non lo guardassi, percepivo il suo sguardo fisso su di noi. Ogni fibra del mio corpo voleva mostrargli che non mi importava, che poteva continuare a fingere che io non esistessi, ma il nodo che avevo nello stomaco raccontava una storia diversa. Mi presentai anche all'altro ragazzo, Kyle, scoprendo che studiava economia come Blake. Peter, invece, seguiva medicina come me, anche se era indietro con alcuni esami. Parlare con loro mi fece dimenticare per un momento la tensione, ma non potei fare a meno di notare che Blake continuava a ignorarmi, e per qualche assurdo motivo, il nostro odio era reciproco.

Ricordami chi eroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora