Iniziamo

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Iniziava tutto così: un battito di ciglia in più, un dettaglio in meno.

Borsa di studio. Harvard.

Queste erano state le parole su cui avevo costruito la mia vita nell'ultimo anno.

Ora ero qui, davanti all'occasione dei miei sogni, eppure tutto mi sembrava irreale. Forse era l'aria fredda di settembre che pizzicava la pelle, o il peso delle valigie che mi ricordava quanto fosse cambiata la mia vita.

Il taxi si allontanò con un rombo, lasciandomi sola davanti al massiccio edificio dei dormitori. Osservandolo, mi tornò in mente il messaggio di mio fratello:

"Non aspettare di avere tutte le risposte. Inizia e lasciati stupire."

Mi strinsi nelle spalle. Questa volta avrei davvero seguito il suo consiglio. Era il momento di iniziare.

Afferrando le valigie, varcai la soglia del dormitorio C.

"Ti sei persa?"

Sobbalzai. Una voce allegra aveva interrotto i miei pensieri. Mi voltai di scatto e incontrai lo sguardo di una ragazza dai capelli castani e occhi verdi, brillanti come smeraldi sotto la luce fioca del corridoio. Il suo sorriso era dolce, quasi ingenuo, e mi trasmetteva un'inspiegabile fiducia.

"Sì... ecco, sono nuova e non so dove si trovi la mia camera."

"Numero?"

"Ehm... C09."

"Pazzesco! Sei tu!"

Indietreggiai un po', spaventata dal suo entusiasmo improvviso.

"Non ti seguo..."

"Oh, scusa! Mi chiamo Melody, ma puoi chiamarmi Mel. Siamo compagne di stanza!"

Mel. Aveva l'energia di un uragano e lo sguardo di qualcuno che ti conosce da sempre, anche se ti ha appena incontrata.

"Oh, okay... io sono Cassandra," risposi, cercando di tenere il passo con il suo entusiasmo.

"Vieni, ti porto in camera."

La seguii lungo il corridoio e fino all'ascensore. Mel parlava senza sosta: era la più piccola di due figli, suo fratello aveva finito gli studi due anni prima e lei aveva scelto legge come indirizzo accademico. Ogni frase era accompagnata da un gesto o una risata, come se non riuscisse a contenere la propria vitalità.

Mentre parlava, mi venne naturale associarla a un'immagine: un arcobaleno. Era solare, luminosa, ma nei suoi occhi c'era un'ombra che conoscevo fin troppo bene, perché era simile alla mia.

Io le raccontai dei miei fratelli, Tony e DJ, e accennai alla mia passione per la medicina, minimizzando il resto. Non era solo una questione di fiducia: alcune ferite sono come cicatrici mal rimarginate, e parlarne equivale a farle sanguinare di nuovo.

Quando arrivammo in camera, rimasi a bocca aperta.

"È... è stupenda!"

"Sì, hai ragione."

Non era grande, ma perfetta per due persone: due letti con coperte color crema, due armadi in legno chiaro, due scrivanie posizionate accanto alla finestra e, sorprendentemente, un piccolo bagno privato e un angolo cottura. Per la prima volta da mesi mi sentii tranquilla, come se quelle quattro mura potessero diventare davvero un rifugio.

Mel mi osservò con un sorriso divertito.

"Cass?"

"Sì, dimmi."

"Stasera c'è una festa. E tu verrai con me."

La fissai, disorientata. Non ci conoscevamo nemmeno, e già mi invitava a una festa? O aveva un'innata fiducia nell'umanità o era completamente fuori di testa.

"Sono appena arrivata... non lo so."

"Proprio per questo! Ti farò conoscere i miei amici e ci divertiremo. Garantito."

Adoravo le feste. A casa, io e i miei fratelli eravamo famosi per organizzare i migliori party nel sud di Las Vegas. Ma mi ero ripromessa di lasciarmi tutto alle spalle e di ricominciare. Il problema era che dire di no a Mel sembrava impossibile.

"Okay, ma non tornerò tardi."

Lei annuì soddisfatta e si offrì di aiutarmi a sistemare le mie cose.

- -

Passammo il pomeriggio a chiacchierare. Mel mi parlò del campus, dei suoi esami e dei suoi sogni di diventare avvocato. Io le raccontai della mia passione per la medicina, nata per necessità: i miei fratelli tornavano spesso da qualche rissa, feriti e sanguinanti, e toccava a me curarli. Nella nostra zona, polizia e ospedale erano nemici. Così, con il tempo, imparai a fare tutto da sola.

Verso le otto iniziammo a prepararci. Mel monopolizzò il bagno, mentre io cercavo un outfit adatto alla serata. La festa era organizzata dagli Skull, una delle confraternite più prestigiose di Harvard. Non ero agitata, ma curiosa: avevo partecipato a ogni tipo di festa, ma mai a una di una confraternita.

Quando Mel uscì, era radiosa: un vestitino bianco corto con spalline sottili e sandali con il tacco. Le donava, esaltando il suo viso e rendendo i suoi occhi ancora più brillanti.

Io scelsi una gonna di pelle nera sopra il ginocchio, un corpetto abbinato e stivali con il tacco. Dopo un'ora di trucco e acconciature, eravamo pronte.

Durante il tragitto in macchina, Mel mi parlò degli Skull. I loro membri più in vista erano i tre titolari della squadra di basket del college.

"Belli e dannati come pochi," disse ridendo.

Non mi spaventava. I miei fratelli erano l'incarnazione del bello e dannato, capaci di attirare le ragazze con un semplice sguardo.

Mentre lei parlava, un dolore improvviso mi colpì al petto. Pensare a casa significava pensare a lui. Quattro anni che non lo vedevo. Quattro anni senza una parola. Mi aveva spezzato il cuore, eppure non riuscivo a lasciarlo andare.

"Terra chiama Cass... tutto okay?"

"Tranquilla, sì," risposi, cercando di mascherare il mio turbamento.

Quando arrivammo alla confraternita, rimasi senza parole.

Una villa immensa, con due piani illuminati a giorno. Il giardino era gremito di persone, alcune già visibilmente ubriache, e la musica rimbombava dall'interno.

Mel mi prese per mano e mi trascinò verso la porta d'ingresso.

Non ero pronta. E col senno di poi, posso dire che non lo sarei mai stata


                                                       

Ricordami chi eroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora