XI

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Quel Giovedì mattina arrivò in fretta, aveva detto a Max che sarebbe tornata per salutare la sua famiglia che non vedeva da tanto, anche se si sentiva in colpa per quella piccola bugia non riuscì a spiegargli il vero motivo del suo ritorno a casa. L'olandese l'aveva accompagnata all'aeroporto di Nizza e l'aveva baciata con trasporto nella macchina, lei stessa gli aveva chiesto di non scendere per non farsi vedere e creare ancora più clamore. Guardava la sua terra dal finestrino dell'aereo, il mare e quel Vesuvio che avevano fatto da sfondo agli anni più belli e spensierati della sua vita, il luogo che l'aveva vista crescere, insieme con i suoi amici, per le sue strade strette ed affollate ma che ora non sembrava più recarle gioia ma solo nostalgia per tutto quello che era stato. Ad aspettarla al gate c'era suo fratello Walter, un raggio di sole in quell'inferno personale che stava vivendo. Non scambiarono una sola parola, si abbracciarono stretti come non facevano da tempo, Walter cercò di prendere un po' del dolore della sorella per tenerselo per se, per farla sentire più leggera. In macchina le strinse forte la mano sorridendole incoraggiante, sapeva cosa stava provando, glielo leggeva negli occhi, gli stessi che qualche anno prima avevano cacciato tante lacrime e che si erano spenti improvvisamente.
"Quando arrivano gli altri?" Domandò cauto, non voleva destabilizzarla ancora di più.
"Tra oggi pomeriggio e stasera." Rispose atona la sorella, non aveva voglia di parlare, come se non volesse ricordare il motivo di quella riunione.
La sera si ritrovarono tutti e quattro nel loro posto, quel muretto che aveva ancora i loro nomi scritti sopra. Marcolino, Lola, Vira, Fran, Sandra, loro cinque, come era stati per anni e come non erano più. Nessuno spiccicava parola, sorseggiavano la loro birra in silenzio con i pensieri persi nei meandri della loro memoria a cercare quell'attimo, quel momento di pura felicità che avevano vissuto e al quale si aggrappavano in quella serata.
"Basta. Non ci avrebbe voluti così tristi, lo sapete anche voi." Asserì Fran alzandosi con un salto dal muretto e fronteggiando i tre amici. Arianna lo guardò scocciata, per quanto avesse voluto non riusciva a non provare quelle emozioni, non riusciva a sorridere pensando alla sua amica, l'unica cosa che voleva era riaverla lì con loro. Accarezzò con i polpastrelli quell'incisione, durava da più di dieci anni, come il loro rapporto d'altronde, e niente l'aveva scalfita, era rimasta lì, intoccabile, fiera, immortale.
"Mi manca in maniera assurda." Sospirò Marco, si alzò e poggiò una mano sulla spalla di Fran, tutti stavano provando la stessa cosa, pensando le stesse cose, soffrendo per lo stesso motivo. I tre amici cercarono di cambiare discorso, parlando d'altro, mentre Arianna rimaneva in silenzio con lo sguardo perso nel vuoto, non riusciva a far finta di niente come loro. Sapeva che era meglio così, era meglio non fissarcisi, non analizzare ogni momento passato insieme perché non l'avrebbe riportata su quel muretto insieme a loro ma non era in grado di non farlo, di non sperare con tutta se stessa che da un momento all'altro lei sarebbe apparsa chiedendo scusa per il suo solito ritardo. La notte non chiuse occhio, si sentiva in un vortice dal quale non riusciva ad uscire, e pianse molto, forse più di quanto non avesse fatto durante tutto quell'anno. Quando suo padre entrò nella sua stanza la trovò seduta con la schiena appoggiata al letto e gli occhi rivolti verso la finestra, si sentì per un attimo trasportato a qualche anno prima e, come all'ora, non seppe che fare, non seppe quali potessero essere le parole giuste da rivolgere a sua figlia. La chiamò senza però ricevere risposta, così decise di sedersi al suo fianco cercando di infonderle un po' di forza, Arianna appoggiò la testa sulla sua spalla godendosi quel momento con suo padre.
"Forse non riuscirò mai a superarla, forse farà male per sempre." Parlò la ragazza con la voce spezzata, suo padre la strinse tra le sue braccia lasciandola sfogare sulla sua spalla. Qualche ora dopo si trovava all'entrata della chiesa, un completo nero e gli occhiali da sole a coprire i segni di quel dolore, si sentiva mancare l'aria, le persone che le parlavano erano voci lontane e non sentiva più la terra sotto i suoi piedi. Cominciò a correre lontano da quel posto, che rappresentava tutto il male che aveva vissuto, lontano da quel momento che le aveva spezzato il cuore. Si rifugiò in un piccolo vicolo, sedendosi su alcuni i scalini e raggomitolandosi su se stessa, le ginocchia al petto e la testa tra le mani. Prese il telefono dalla borsa e senza sapere il perché cercò sulla rubrica il nome dell'unica persona che avrebbe voluto vicino in quel momento.
"Ari? Non mi aspettavo una tua telefonata così presto!" La voce dall'altro capo del telefono era chiara, la ragazza non riuscì a rispondere sentendo il suo cuore accelerare ancora di più.
"Arianna? Tutto bene?" Cominciò a preoccuparsi, il silenzio interrotto solo dai respiri pesanti non erano di solito un buon segno.
"Charles..." Cercò di parlare tra un singhiozzo e l'altro. "Lei non c'è più, se ne è andata e non tornerà." Cacciò quelle parole che rappresentavano tutto ciò che non voleva ammettere, tutto ciò che le faceva immensamente paura. Le mani le tremavano e non riusciva più a vedere bene per via delle troppe lacrime, il battito del suo cuore non accennava a calmarsi e l'aria sembrava non essere mai abbastanza.
"Ari, calma, ci sono io. Respira con me, okay?" Charles riconobbe il panico, lo aveva vissuto tante volte anche lui. Inspirava ed espirava lentamente, contando i suoi respiri per cercare di far calmare la ragazza. Si scoprì più nervoso del dovuto ad immaginare la ragazza da sola in quelle condizioni. "Brava così." Continuò a parlarle in monegasco, la sua voce aveva un effetto calmante su Arianna che riprese piano piano a respirare normalmente.
"Va meglio?" Chiese ancora molto preoccupato il ragazzo, non sapeva dove fosse ne cosa fosse successo e non sapeva come poterla aiutare più di così.
"Si, grazie." La voce bassa per lo shock che il suo corpo aveva appena vissuto. "Scusami, io non dovevo.." Non conosceva il motivo per il quale aveva chiamato proprio lui, perché in quel momento di instabilità aveva sentito la necessità di sentirlo vicino.
"Non dirlo nemmeno Ari, sono qui per te." Avrebbe voluto porle mille domande ma rimase zitto, non era di certo il momento. Era solamente felice di essere riuscito a farla stare meglio. Rimasero in silenzio per qualche minuto fin quando Arianna non sentì delle voci chiamarla, vide apparire i suoi tre amici con lo sguardo preoccupato e il fiatone per la corsa appena fatta.
"Oh mio Dio, Lola!" Fran fu il primo a vederla e a correre da lei, abbracciandola stretta, il telefono della ragazza lasciato sul gradino ancora in connessione con il numero sedici.
"Ci hai fatto prendere un colpo!" Alessandra si avvicinò, le sembrava fragile come un cristallo, lei che era stata la roccia di tutti in quei momenti.
"Scusatemi ragazzi, io non volevo. Non ci sono riuscita." Confessò con lo sguardo basso la riccia, era stata d'accordo a tenere quella commemorazione, a parlare di Elvira con le altre persone ma, arrivati a quel momento, le era sembrato tutto troppo da affrontare.
"E' okay, è tutto okay." La rassicurò Marco, aggiungendosi anche lui ai suoi amici. Rimasero così abbracciati per qualche minuto fin quando, dal telefono di Arianna, si sentì una voce.
"Ari?" Charles non avrebbe voluto interrompere quel momento, che aveva sentito in differita, ma voleva assicurarsi che lei stesse bene ed in compagnia. Arianna si risvegliò immediatamente, slacciandosi dall'abbraccio e recuperando il suo telefono.
"Charles?" Non pensava fosse ancora in chiamata.
"Volevo solo assicurarmi che avessi trovato qualcuno." Disse sincero facendo crescere un sorriso sul volto dell'italiana.
"Si, sono a casa." Rispose guardando i suoi amici, erano loro la sua casa e non sarebbe mai stata in grado di spiegare quanto fosse grata di averli. Salutò Charles e ripose il telefono nella borsa. Tre paia di occhi puntati su di lei, curiosi e confusi di quanto appena successo. 

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