21| Il cappio spezzato, lividi, paura.

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Carlotta.


Harry era di nuovo in ritardo ed era di nuovo per colpa mia. Un pochino almeno, non totalmente, mi ero solo svegliata con una voglia particolarmente pulsante di svegliare anche Harry in un modo decisamente vietato ai minori di sedici anni. Harry non si era di certo tirato indietro, anzi, aveva fatto decisamente alzare l'età di divieto ai diciotto ed ora non facevo altro che sorridere, vestita di tutto punto sfogliando le foto dal mio nuovissimo telefono. Anche quelle erano decisamente vietate. «Il cloro, Love, pulisce tutto», aveva detto qualche settimana prima alla piscina termale che aveva totalmente prenotato manco fosse uno sceicco degli emirati, dopo avermi fatto surriscaldare con i getti della vasca idromassaggio nel modo decisamente sbagliato. Aveva deciso di sana pianta di provare quanto il telefono fosse impermeabile, scattando foto decisamente sconce, prima di insinuarsi dentro il pezzo di sotto del mio costume. Ridacchiai, alla foto successiva, con il viso appagato di Harry post orgasmo, poi la notifica dell'appuntamento per il colloquio della scuola privata, per la quale avevo fatto domanda da mesi, mi riportò alla realtà. «Cazzo!» imprecai alzandomi di scatto dal divano per tornare in camera da letto, dove Harry si stava infilando i calzini saltellando da un piede all'altro. «Ci sono, ci sono, adesso andiamo!» affermò trafilato, guardandomi trafficare tra borse che non avevo ancora messo in ordine. «Cazzo, cazzo, cazzo!» Imprecai ancora in preda al panico. «Che succede?» domandò titubante. «La mia borsa da lavoro, cazzo, è rimasta da mio fratello» affermai coprendomi il viso con le mani dal nervoso. «Non usi lo zainetto nero?» «Quella dei colloqui, c'è dentro la mia agenda, il curriculum e ci sono le lettere delle referenze» continuai a lamentarmi. «E dovrebbero servirti per?» chiese, sempre più dubbioso, gli mostrai il telefono, sogghignò. «Bel pomeriggio quello» commentò malizioso, alzai gli occhi al cielo. «La notifica, Harry! Ho un colloquio importante oggi, sono mesi che aspetto di avanzare nella lista» spiegai. Attese un secondo facendo mente locale, poi capii dove stessi andando a parare e scattò in avanti, con l'indice puntato verso di me e lo sguardo severo: «Non c'è dubbio che tu vada in quella casa da sola, non mi fido affatto di tuo fratello e di quel coglione. Ci fermiamo prima di andare all'intervista»
«Sei già in ritardo»
«Ci andremo dopo insieme
Sospirai, guardando di nuovo il telefono. «Amore, amo questa cosa che hai di volermi proteggere sempre, ma l'appuntamento è tra un'ora e non faremmo in tempo» tentai di farlo ragionare, prendendo il dito puntato su di me per portarlo verso le mie labbra e baciargli la mano, dito per dito, partendo proprio da quello. Harry sospirò, accarezzandomi il viso con dolcezza: «Non mi piace saperti sola lì» «Non ci andrò da sola, Love, mi farò accompagnare da Nico» risposi risoluta, spostando nuovamente la sua mano dalla guancia alla bocca per baciarla ancora, Harry sospirò di nuovo. Si avvicinò a me, stretta nel suo abbraccio e mi baciò. «Mi devi tenere informato di tutti i tuoi spostamenti, Lottie e appena finisci tutto ti fai portare dritta da me» esclamò ancora sulle mie labbra, infilandomi il biglietto con l'indirizzo scritto il giorno prima al telefono nella tasca dietro dei pantaloni. Ne approfittò per palparmi un pochetto ancora. Mi fece sorridere e mi baciò di nuovo.
«Io starò lì ad aspettarti, Lottie, non me ne vado fino a che non vieni»
«Dolce, è la stessa cosa che hai detto stamattina.»
Mi guardò malizioso, ridacchiando del mio sguardo audace, strappandomi un nuovo bacio, questa volta più intenso, il preludio di quello che mi avrebbe aspettato dopo il mio colloquio che continuava ad essere un miraggio, soprattutto dopo la telefonata con Nico, finita brutalmente con un suo: «Stiamo facendo una riunione importante, Charly, ma ho visto che ha messo una storia dall'altra parte della città, stai tranquilla.» Non stavo tranquilla, non dopo gli ultimi avvenimenti che avevano visto Simone e Fabio ubriachi, fuori dal palazzetto dove si era esibito Harry, ad aspettarci per iniziare una rissa finita in partenza con lo scontro contro uno della sicurezza. Optai anche per evitare di prendere la borsa, ma che possibilità avevo di pensare a un'assunzione quando qui in Inghilterra la mia esperienza si limitava ad un paio di corsi di lingua, ripetizioni e traduzioni occasionali? No, dovevo fare la persona adulta e andare incontro alle mie paure per superarle. Quando entrai, stupendomi di poter usare ancora il mio mazzo di chiavi, Fabio era in piedi davanti al frigo. In mutande. Le lattine di birra erano sparse ovunque e mi sembrava anche di sentire puzza di fumo. Ottimo, alcol e droga: l'appartamento dell'ipocrisia. Pensai di annunciarmi, ma poi decisi che sarebbe stato meglio andare nella mia vecchia stanza in silenzio, senza fare il minimo rumore. Operazione fallita a ridosso della porta. «Sei diventata un ninja, Totta? Però dovresti farti dare ripetizioni, ti ho scoperta» disse. Era ubriaco e probabilmente anche fatto. «Non volevo disturbare, devo solo prendere una cosa che ho dimenticato» dissi cercando di sembrare quanto più calma e sicura possibile, aprendo la porta della stanza che, ovviamente, non aveva la minima parvenza di ordine.
Quanto diavolo ci avrei impiegato per trovarla, cazzo!
«Simone non è proprio ordinato, ti voglio dare una mano, che cosa cerchiamo?» biascicò divertito, affiancandomi sulla porta. Feci un passo in avanti d'istinto, lo fece anche lui, sfiorando il tessuto leggero della camicetta, prima sulla spalla, poi dal colletto e poco più giù. «Ti offro qualcosa da bere? C'è caldo oggi, qualcosa di fresco» disse, avvicinando il viso al mio, iniziavo ad avere paura. Mi schiarii la voce, sorridendo poi cortesemente. «No grazie, Harry mi aspetta giù, prendo solo una cosa che mi sono dimenticata» risposi avanzando decisa verso l'armadio. Toh guarda, una scatola con il mio nome. «Ti porti la scorta perché hai paura di me, piccola Totta, davvero?» domandò teso, raggiungendomi ancora una volta, tirando fuori dalla scatola un paio di mutandine che pensavo avessi perso. Mi guardò malizioso, poi le lasciò cadere a terra, toccandomi con più insistenza. «Fabio, per cortesia, lasciami stare» la sicurezza aveva traballato nella voce e probabilmente lo sguardo impaurito era più incisivo di quanto potessi immaginare, d'altra parte Fabio era più alto e più grosso di me. Lui corrugò lo sguardo, prendendomi dalle spalle per cercare più vicinanza. «Mi uccidi così, non devi avere paura di me, io ti amo, lo sai vero?» disse serio, avvicinandosi ancora di più al mio viso. Mi scostai, non riuscendo ad allontanarlo da me. «Fabio, no, tu non mi ami. Tu sei ubriaco» dissi seria, strinse la presa sulle spalle. «No, Totta, io ti amo, cazzo, ti amo così tanto e tu lo sai perché mi ami anche tu. Sei venuta da me per questo, certo! Vuoi che torniamo come da ragazzini»
«Sono venuta per prendermi la mia borsa e tornare dal mio fidanzato che mi aspetta giù in auto. Non vorrei mai tornare a vivere quello che mi hai fatto passare»
«Ti ho amata come un ragazzo di vent'anni può fare, Totta ed ora ti amo come un uomo» Insistette e non resistetti più, alzando il tono di voce, in punta di piedi: «Dici che mi amavi, Fabio? E quando? Mentre mi annullavo per farti felice o mentre facevi girare la mia foto mezza nuda a tutti i tuoi amici?» sbottai, riuscendo anche a dargli uno schiaffo direttamente sul viso, sperando di riuscire a farlo allontanare, ma ottenendo l'effetto opposto: si sporse in avanti, piegandosi sul mio capo per parlarmi all'orecchio. «La guardo ancora, sai, tutti i giorni» biascicò, malizioso, mordicchiando il lobo, mentre le mani scorrevano oltre le spalle, sul petto. «Ed ora sei qua, più grande, più bella» continuò, infilando le dita dentro i lati della camicia che ora rimpiangevo di non aver chiuso fino al collo. Ero bloccata, la paura preso il controllo del mio collo e non riuscivo più a muovermi. Sentii le sue mani fredde afferrare il tessuto e un secondo strappare via tutti i bottoni, mentre la sua voce, un ringhio ovattato, rimbalzava sullo spazio che mi aveva levato l'ossigeno: «Fammi vedere come sei cambiata.» Si era avventato su di me, tenendomi ferma con le mani di ghiaccio che continuavano a pungere come tanti piccoli spilli. Sulla pelle nuda. La stessa pelle che si lasciava calpestare dai suoi denti, dalla lingua che pesava come un macigno di piombo. E le mani ad insinuarsi dentro il reggiseno e giù oltre il ventre. No, fermo, cercai di oppormi, ma lo avevo veramente detto? O era solo nella mia immaginazione? Avevo 27 anni, quasi 28, ero una donna. Ero autonoma e indipendente, ma soprattutto ora sapevo davvero che cosa volesse dire avere l'amore di una persona. E l'avevo. Avevo il mio Amore, il mio Harry. Non ero più quella ragazzina ingenua pronta ad ignorare e perdonare situazioni del genere. Io ero una donna. Non appena sentii la sua mano entrare dentro i jeans, iniziai a muovermi: le spalle, le braccia, le mani. Ogni parte di me stava facendo il possibile per allontanarlo, nonostante lui facesse resistenza. «Sta' ferma, cazzo» imprecò, cercando di afferrarmi per il collo, ma lo bloccai e morsi pure il braccio. Mi guardò in fiamme, il secondo dopo sentivo l'amaro del sangue sulla lingua. Mi aveva colpito.
Forse sono questi i momenti in cui scatta la miccia, sì, quella che porta dritta sulla scatola della dinamite: fa scattare il lucchetto che tiene segregato tutto quello che non ti aspetti da te e ti fa agire in un modo che solo dopo, ripensandoci, dici ero davvero io? Il senso di sopravvivenza.
Come uno spettatore, guardai la scena da lontano, pur sentendo ogni minima sensazione: il muscolo tirato mentre la ginocchiata lo colpiva perfettamente tra le gambe, il dolore dello spigolo del tavolo sulla coscia mentre correvo verso la porta e la tracolla della borsa tesa sul collo, con la quale cercò invano di fermarmi. Pensai anche al modo con il quale avrei detto ad Harry di aver rotto la borsa che mi aveva regalato, nonostante costasse decisamente troppo, per essere una borsa. Fabio poi, mi aveva seguito giù per le scale, nonostante non avesse niente addosso se non un paio di mutande, ma io mi ero fiondata in mezzo alla strada, sperando di trovare un taxi e non la morte per incidente stradale.

Love me Lottie [hs] ~ COMPLETA.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora