✍ Capitolo 3

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Si sfiora le labbra con un dito e finalmente mi parla.
«Cosa ci fa lei qui esattamente?»

Questa è un ottima domanda.

«Intanto non darmi del Lei, ti prego.» Sorrido in modo gentile e continuo il mio discorso.

«Seconda cosa, sono qui perché essendo troppo giovane per entrare in un vero e proprio ospedale, mi hanno mandato in questa clinica un po' "sfigata". E poi mi hanno detto che avevano bisogno di una mano per curare un paziente, che saresti tu. Ti ho soddisfatto signorina?»

Fa segno di sì con la testa, imbarazzata dal fatto che l'ho appena chiamata 'signorina'.

«Ora tocca a te.» dice mentre spinge i suoi capelli all'indietro.

Ha l'aria un po' più seria. Devo fare attenzione.

«Qual'è il tuo cibo preferito?»

Rimane sorpresa, evidentemente non si aspettava una domanda del genere.
«Non mangio del cibo decente da almeno un anno.»

Dice in modo triste distogliendo il suo sguardo dal mio, fissando le sue magre mani, poi posa di nuovo gli occhi su di me, stampando un sorriso sulle labbra rosa.

«però mi ricordo che mi piacevano molto le patatine fritte.»

Trattiene una risatina imbarazzata. È così dolce quando fa così.

«Be' allora te ne porterò un po' la prossima volta che ci vedremo.»

Dico con aria divertita, tirando con una mano all'indietro i miei capelli biondi.

«Ora passiamo a cose più serie, okay?»

Dico nel modo più gentile possibile, sperando di farla stare a suo agio anche quando si parla di ciò.
Le sue labbra si serrano e torna seria.

«Perché ti fanno paura le sigarette Grace? Voglio capirlo.»

le pongo la domanda con un tono dolce e provo ad avvicinarmi a lei ancora un po' e me lo permette.

«Non mi va molto di parlare.»

Abbassa di nuovo lo sguardo. So che sta pensando alla risposta che avrebbe dovuto dare, e rimane in silenzio senza aggiungere altro.

Io resto a guardarla e cerco di dire qualcosa, non vorrei essere troppo assillante per i suoi confronti, chiedendole di continuo delle sue paure e le ragioni per la quale c'è li ha, ma é anche il mio lavoro questo.

«Va bene Grace.»

Pronuncio ogni parola in modo molto chiaro, così può sentirmi pur viaggiando tra i suoi pensieri fissandosi di continuo le mani allo stesso tempo.

Mi infastidisce però il fatto di non cercare di superare tutto questo. Cioè, è una ragazza bellissima, non mi sembra giusto farla stare in questa stanza che sembra più una libreria trovandosi all'interno di un ospedale psichiatrico.
Ha 16 anni. E lei rimane davanti a me, facendomi capire che non vuole affrontare le sue paure, non ne vuole parlare. Ma io sono qui per aiutarla e non per vederla distruggersi interiormente, standomi lì a fissarla e a fissare tutto ciò che é intorno a lei.

Decido a parlare, sospirando.
«Capisco, Grace.. Il fatto che tu non voglia parlare.»
Mi siedo su una sedia accanto al suo letto e lei posa lo sguardo sui miei occhi.

«Ma io voglio aiutarti, io sono pronto per sentire tutto quello che hai da dire, per cercare di tirarti fuori da questa situazione, da questo posto.
Ti prego, dovresti fidarti di me. Senza la fiducia in questo mondo non si va da nessuna parte.»

Poso lo sguardo verso il pavimento azzurro chiaro per poi pietrificarlo nei suoi occhi, rimasti a fissarmi, con un attenzione incredibile.

«Ti prego, Grace.. Hai solamente 16 anni, io non voglio che tu rimanga ancora qui dentro, nè io lo voglio né tu credo.»

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