Mi avvicino un po' a lei e le accarezzo la guancia.
«Non pensarlo neanche. Io mi sono arrabbiato perché mi da fastidio che una persona così bella si rovini. Ora vediamo quanto pesi e poi vedremo.»
Grace si tranquillizza un po' e sale sulla bilancia. Guarda dritto davanti a se' e respira lentamente.
Vedo il numero e mi si blocca lo stomaco.
«Quarantadue, sei dimagrita di un chilo.» cazzo no.
«Scusa.» mi dice con gli occhi lucidi lucidi.
«Non ti preoccupare, non è colpa tua. Troverò un modo per farti prendere qualche chilo. Dovresti pesare almeno cinquanta chili tesoro.»
Scende dalla bilancia e mi abbraccia, che buon odore che ha, è così dolce.
«Shh, dai. Ce la faremo a combattere questa piccola battaglia, non sei da sola.»
Mi guarda e sorride, quanto amo il suo sorriso sincero.
«Gri, ti vedo stanca. Perché non vai a risposarti un po', che ne dici? Poi se vuoi domani usciamo ancora e facciamo tutto quello che vuoi.» Mi lascia andare.
«Va bene, di notte ho gli incubi, di pomeriggio o di mattina non molto. Magari riesco a dormire anche un po'.»
Sorride abbassando lo sguardo. La prendo per mano e la porto in camera, apro la porta e Grace si mette sul letto.
«Se hai bisogno di qualsiasi cosa chiamami okay?» fa segno di sì con la testa ed io esco dalla sua stanza.
Vorrei sapere com'era quando è arrivata qui, ci deve essere per forza una sua cartella da qualche parte negli archivi.
Chiederò al signor Fisher.
Mi dirigo nel suo ufficio, lo riconosco perché è l'unica stanza con la porta di un colore diverso dalle altre. Busso.
«Entri pure.» sento queste parole e la apro.
È seduto alla sua scrivania e sta esaminando alcune carte.
«Salve, scusi il disturbo.»
«Non si preoccupi. Come va con Grace?»
Sorride distogliendo per un attimo l'attenzione da quello che sta facendo.
«Benissimo. Volevo chiederle, lei ha una cartella? Vorrei vedere com'era quando è arrivata qui.»
Smette di sorridere.
«Non era un bello spettacolo. Comunque, quello che le serve lo trova nella stanza di fianco al mio ufficio. Sono in ordine alfabetico. Il suo nome completo è Grace Cavil.»
Riporta lo sguardo sui suoi fogli ed io esco dalla stanza andando in quella affianco.
È piena di cartelle, fogli e scartoffie. Sospiro e inizio a cercare in quel casino il suo cognome, Carrett, Clinton, Clew... Cavil! Tiro fuori il fascicolo e inizio a sfogliarlo.Nella prima pagina c'è una sua foto. Si vede che è lei, ma è molto diversa. Ha i capelli lunghi legati in due treccie che le arrivano fino ai fianchi, erano davvero molto lunghi, e il suo sguardo invece è vuoto, terrorizzato, non lo so.
Nella seconda pagina ci sono alcuni appunti presi da qualcuno "non vuole essere toccata, se succede inizia a urlare e a scalciare con forza. Non parla e continua a piangere incostantemente, abbiamo provato a darle da mangiare ma si rifiuta testardamente." porca puttana, aveva ragione, non era un bello spettacolo.
Mi immagino la scena, doveva essere terribile.
Sento la preoccupazione salire e inizio a chiudere la cartella, non voglio sapere altro, mi sento malissimo a vedere quella foto.
Passo le dita della mano tra i capelli e decido dopo un paio di minuti di continuare a leggere.
"per questo le abbiamo iniettato del tranquillizzante e ora è più accondiscendente. È abbastanza sottomessa, ha paura del contatto visivo e abbassa sempre lo sguardo dopo qualche secondo. Se le chiedi di fare qualcosa lo fa, ed è piuttosto strano perché puoi farle fare davvero tutto quello che vuoi, infatti le ho chiesto di mangiare e lei mi ha ubbidito senza dire niente. Dopo qualche giorno le ho chiesto il perché facesse così e per la prima volta ha pronunciato delle parole "ha detto che se non faccio quello che mi viene detto sono una cattiva ragazza e che le ragazze disubbidienti meritano di essere punite""
Oddio.
Povera cucciola. Doveva essere una schiava sessuale o peggio, mi vengono i brividi al solo pensiero. Masochista del cazzo. Solo ora capisco alcuni comportamenti di Grace.
Abbassare lo sguardo è un'abitudine che non l'ha ancora completamente abbandonata, ed effettivamente se le chiedi di fare qualcosa lo fa.
La depravazione di quel mostro non ha davvero fine. Mi sento ancora male pensando a quello che le chiedeva di fare, e mi rendo sempre più conto che è quasi un miracolo il fatto che lei sorrida ancora.